Chiese, basiliche, santuari e monasteri: luoghi di culto e devozione cristiana. Templi dello spirito. Ma anche scrigni traboccanti di tesori e opere d’arte, spesso frutto di ricche donazioni per “grazia ricevuta”: svettano in ogni angolo della terra campana. Da Napoli a Salerno, passando per Amalfi, Benevento e Sant’Anastasia. Edificati in ricordo di antichi eventi miracolosi per custodire una statua, una effige lacrimosa. Oppure, innalzati per “ispirazione divina”. E poi sostenuti grazie all’impegno e alla carità della popolazione.
Elencarli tutti è praticamente impossibile. Scegliere i più famosi, quelli meta di pellegrinaggi mondiali, questo sì è cosa fattibile. E allora partiamo. Iniziando dal Santuario di Pompei, cittadina famosa in tutto il mondo per il sito archeologico romano, ma anche culla di fede con il suo celebre pontificio santuario dedicato alla Vergine del Rosario, meta, ogni anno, di migliaia e migliaia di fedeli che raggiungono il centro vesuviano a piedi per innalzare la loro supplica a Maria.
E’ a lei, alla Madre di Cristo che i fedeli si rivolgono soprattutto nei mesi di maggio e ottobre per invocare grazie e miracoli. Molti dei quali concessi e di cui resta traccia negli innumerevoli ex voto affissi alle pareti del santuario: ciascuno di quei quadretti racconta una storia, una testimonianza dell’intervento divino nelle vite di tanti uomini e donne di ogni ceto ed età. Fu il beato Bartolo Longo a volere l’edificazione del santuario nella “Valle di Pompei”, nel maggio del 1876. La struttura fu successivamente ampliata e quindi ultimata negli anni ’30. Oggi ha il titolo di Basilica Pontificia, ed è conosciuta ovunque per la celebre tela della Madonna del Rosario di Pompei, opera seicentesca della scuola di Luca Giordano posta sull’altare maggiore: una delle più conosciute in assoluto della chiesa cattolica, venerata da Papi e Santi come Wojtyla e Padre Pio.
Da Pompei a Napoli il passo è breve. E vale la pena di essere compiuto. Sì, perché in fatto di devozione, nel capoluogo campano si venera un Santo che ha talmente legato il suo nome alla città da diventarne quasi un sinonimo. Un simbolo, insomma. San Gennaro, Patrono per eccellenza di Partenope. I suoi resti, un tempo tumulati nelle Catacombe di San Gennaro, si trovano sotto le volte della straordinaria Cappella del Succorpo all’interno del Duomo, a pochi passi dal Museo riservato ai tesori che la pietà popolare e la devozione hanno dedicato al culto del Vescovo di origine sannita martirizzato a Pozzuoli nel IV secolo dopo Cristo. Il frutto prezioso, insomma, delle numerose donazioni effettuate dai fedeli nel corso dei secoli.[charme-gallery]
Il Museo del Tesoro sorge a pochi passi dalla splendida Cattedrale di Napoli, l’edificio di culto forse più famoso di tutta l’antica capitale del Regno delle Due Sicilie, lo straordinario complesso dedicato al culto di Santa Maria Assunta, edificato agli inizi del XIV secolo sul posto in cui, un tempo, sorgeva la basilica di Santa Restituita e il vicino battistero paleocristiano di San Giovanni in Fonte (oggi parte integrante della struttura). Il Duomo è dotato di interni preziosi e di cappelle ricchissime, rese ancora più pregiate dall’opera di pittori e scultori del calibro di Giordano, De Ribeira, Domenichino, Lanfranco e Pisano. E’ qui, sotto queste navate, che ogni anno si realizza il famoso “miracolo” della liquefazione del sangue di San Gennaro, prodigio ormai plurisecolare che attira ogni volta nel capoluogo una vera e propria marea di fedeli.
E parlando di sangue che si scioglie, come non menzionare il “sacro liquido” appartenuto, un tempo, a Santa Patrizia di Costantinopoli? E’ lei l’altra grande religiosa venerata e invocata dai napoletani quale Santa dei nascituri e delle partorienti. Della sua esistenza si sa ben poco. Pare fosse nata da una famiglia ricca e nobile di Bizanzio, discendente addirittura dall’imperatore Costantino. Giunta esule a Napoli, di ritorno da uno sfortunato pellegrinaggio in Terra Santa, dedicò il resto della sua vita alla cura dei bisognosi ma, dopo breve tempo dal suo arrivo, morì. Sepolta nell’antico monastero dei Santi Nicandro e Marciano, nel 1864 le sue spoglie furono trasferite nel monastero della Chiesa di San Gregorio Armeno (dove tuttora riposano), la celebre chiesa della via dei Presepi, che si dice sia stata edificata sulle rovine del tempio di Cerere intorno al 930. Ed è in questo stesso convento che ogni martedì e nel giorno dedicato alla sua festa (25 agosto), il sangue di Patrizia (conservato in un’ampolla, custodita nel Coro delle Monache) da solido diventa liquido. Un miracolo acclamato ed atteso ai fedeli. Che richiama, se vogliamo, un altro prodigio avvenuto qualche secolo prima nella non distante Sant’Anastasia. E’ sempre di sangue, infatti, che parliamo. Anche se…colato da un’effige violata. Ma procediamo con ordine.
Il viaggio lungo le rotte della fede ci porta, infatti, alle falde del Monte Somma. Per la precisione a Madonna dell’Arco, tra i più antichi e famosi luoghi di culto della Terra Felix. Questo angolo di terra vesuviana, conosciuto ovunque per la devozione popolare dei “battenti” o “fujenti”, fedeli devoti che manifestano il proprio credo correndo e cantando, deve la sua denominazione a un episodio in parte avvolto nella leggenda. Si racconta che intorno alla metà del XVI secolo nella località “Archi”, così detta per la presenza delle arcate di un antico acquedotto romano, si verificò il sanguinamento di un quadretto della Vergine (affisso proprio sotto una di quelle arcate), a causa di un colpo che le fu inferto volontariamente da un giovane di Nola, il quale, deluso per aver perso una partita di palla a maglio (un gioco simile alle nostre bocce), pensò bene di sfogarsi scagliando la sfera che aveva in mano contro la sacra immagine che subito prese a sanguinare dal volto. Il giovane, per punizione, fu condannato a morte e quindi impiccato. L’immagine, immediatamente venerata dal popolo, divenne fonte di grandi prodigi. E nel 1593, per custodirla più degnamente, si iniziò la costruzione del santuario ultimato poi nel 1610, dedicato al culto di quella che di lì a poco sarebbe diventata la “Madonna dell’Arco”. Oggi, sull’esempio di quanto accade a Pompei, il Santuario anastasiano raccoglie migliaia e migliaia di ex voto d’argento, ma soprattutto tantissime tavolette votive dipinte, rappresentanti i miracoli ricevuti nel corso dei secoli: un’autentica galleria di “grazie ricevute”. La stessa che si ritrova a Mercogliano, in provincia di Avellino. Sulle pendici del Monte Partenio, per la precisione. A quasi mille metri di altezza, dove sorge un altro tempio mondiale della fede cristiana: il Santuario di Montevergine, dichiarato monumento.[charme-gallery]
La storia di questo luogo di culto è legata a doppia mandata alla figura di San Guglielmo da Vercelli, monaco eremita vissuto tra l’XI e il XII secolo, che proprio lì, su quell’alto monte ricoperto dalle nevi, in inverno, pensò di ritirarsi in solitudine fondando poi l’omonima abbazia in cui ancora oggi riposano i suoi resti. All’interno del Santuario, visitato ogni anno da un esercito di pellegrini (che possono oggi usufruire di una comoda funicolare, attualmente ferma per lavori), svetta sull’altare maggiore il prezioso quadro della Madonna di Montevergine (di recente restaurato), oggetto plurisecolare di venerazione. Ma nella struttura, che negli anni dell’ultima Guerra custodì anche la Sacra Sindone di Torino (lì trasferita per sottrarla alla furia dei tedeschi), si trovano anche numerosi reperti archeologici (in zona sorgeva, in epoca romana, un tempio dedicato a Cibele), gioielli e opere d’arte ritrovati intorno al santuario nel corso dei secoli. Oppure trasportati fin lì dai pellegrini che da otto secoli, ormai, salgono al Santuario per venerare la Vergine, porgere a lei le proprie suppliche e i ringraziamenti per le grazie ricevute.
Dalle spoglie mortali del Santo di Vercelli passiamo ora a quelle appartenute a uno degli Apostoli di Gesù. Eccoci giunti, con il nostro viaggio mistico, nella maestosa cattedrale di Salerno dedicata a Santa Maria degli Angeli e a San Matteo. Nella cripta della chiesa, consacrata nel giugno del 1084 da papa Gregorio VII, si trovano, infatti, le spoglie appartenute al celebre pubblicano convertito da Cristo. Lo spazio sepolcrale, decorato con stucchi e affreschi barocchi, fu progettato da Domenico e Giulio Cesare Fontana, due degli architetti più famosi del Regno di Napoli. Colpisce di questo Duomo, la facciata barocca cui fa da cornice una scenografica scalinata di epoca seicentesca. E l’ampio atrio colonnato (unico esempio italiano di quadriportico romanico), con le sue tombe di epoca romana, su cui si spalanca la monumentale porta in bronzo fusa a Costantinopoli nel 1099.
Parlando di “tombe apostoliche”, come non citare il non distante Duomo di Amalfi? La terra, d’altronde, è sempre la stessa: quella dell’ex principato di Arechi. Cambia la diocesi, però. E lo scenario, figlio della tradizione della più suggestiva delle quattro Repubbliche marinare. La cattedrale dell’antica Repubblica domina la piazza principale del borgo dall’alto di una ripida scalinata. Fu innalzata intorno alla seconda metà dell’XI secolo, ma solo nel 1208 si trasformò in luogo di culto piuttosto frequentato. In quell’anno, infatti, il cardinale Capuano vi fece trasferire, direttamente da Costantinopoli, le spoglie di Sant’Andrea collocandole nella sottostante cripta. Sulla sinistra del Duomo di Amalfi è possibile ammirare, oggi, ciò che resta della primitiva cattedrale risalente al X secolo, in gran parte demolita proprio per fare spazio alla nuova chiesa. La vecchia cattedrale aveva tre navate con matroneo. Quella di sinistra fu rasa al suolo per far posto al famoso chiostro del Paradiso: uno straordinario “recinto architettonico” costruito tra il 1266 e il 1268 come cimitero per la sepoltura dei personaggi illustri della città.[charme-gallery]
Dall’antica capitale del Ducato Longobardo, il nostro grand tour nella “terra delle grazie” ci porta nuovamente a Napoli. In particolare, nel cuore di quella che un tempo era la piazza del Mercato, teatro della celebre rivolta di Masaniello. E’ qui, nella prospiciente piazza del Carmine, che sorge la basilica del Carmine Maggiore una delle più grandi del capoluogo campano. La struttura, esempio unico di Barocco napoletano, custodisce al suo interno la sacra immagine della Madonna Bruna cui il popolo dei fedeli è legato a tal punto che in tanti, a Napoli e dintorni, hanno l’abitudine di usare l’esclamazione “Mamma d’o Carmene”, proprio per indicare lo stretto vincolo che li unisce alla Vergine. Pensate: oggi come tanti secoli fa, ogni mercoledì, giorno dedicato alla Madonna, a centinaia vanno in chiesa per deporre ai piedi di Maria un fiore, una preghiera, un ringraziamento.
La tradizione racconta che la basilica fu fondata da un gruppo di monaci fuggiti dalla persecuzione dei saraceni in Palestina, i quali sbarcando nel Golfo, si portarono dietro un’immagine della Madonna che veneravano sul monte Carmelo. Quello che è certo, è che la struttura risultava già in piedi nel 1268, anno del supplizio di Corradino di Svevia (le cui spoglie furono inumate all’interno della Basilica) e che l’icona della Vergine Bruna (così detta per il colore della pelle) sembra opera di scuola toscana (di impronta bizantina) risalente al XIII secolo. Nella chiesa del Carmine, oltre al quadro della Madre di Cristo, si venera anche un crocifisso miracoloso che si dice abbia schivato, abbassando il capo, un colpo di bombarda esploso il 17 ottobre 1439 dall’infante Pietro di Castiglia durante l’assedio aragonese alla città.
E sempre a Napoli, parlando di miracoli, c’è una chiesa che, in fatto di “grazie”, non è seconda a nessuna: la Chiesa del Gesù Nuovo. E’ qui, infatti, a poche decine di metri dal monastero di Santa Chiara, cuore dei Decumani, che riposano le spoglie mortali di Giuseppe Moscati, il “medico santo” canonizzato nel 1987 da Papa Giovanni Paolo II. La sua tomba è meta fedeli, qui sospinti dalla forza della fede e spesso anche dal disperato bisogno di aiuto: si inchinano ai piedi del sepolcro e pregano il “Medico degli Incurabili” per invocare da lui grazie e guarigioni. La carezza al sepolcro e l’immancabile bacio suggellano il legame che unisce i partenopei alla figura di colui il quale è stato dichiarato Patrono degli anatomo-patologi. La Basilica fu costruita per volere dei Gesuiti tra il 1584 e il 1601 sull’area di Palazzo dei Sanseverino del quale conserva tuttora la caratteristica facciata di piperno con bugnato a punta di diamante (opera del 1470 di Novello da San Lucano). All’interno, l’ultima dimora di Moscati offre un autentico spettacolo per gli occhi, oltre che per lo spirito, regalando al visitatore una decorazione marmorea (pavimenti e superfici murarie) e pittorica (numerosi gli affreschi di pregio) di rara bellezza. L’impianto, realizzato dal XVI al XVIII secolo, è semplicemente sfavillante, ed è incastonato in un ambiente tipicamente barocco. Un invito alla meraviglia e allo sguardo rapito. Ma anche al pieno riposo dell’anima. Come tutti i luoghi sacri della Campania Felix.