Vedute mozzafiato grazie a fili d’acciaio

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Il Faito sembra la chioma di una stupenda fanciulla. E i suoi alberi, riccioli da carezzare. Visto a cavallo di un filo d’acciaio, il massiccio dei Lattari è uno spettacolo della natura. Lo stesso che, nel 1783, complice la ricchezza di boschi verdi e lussureggianti, seppe sedurre re Ferdinando I di Borbone a tal punto da indurlo a edificare qui, ai piedi del monte, i cantieri navali. Borghi e casupole costellano pendii ricchi di faggi (da cui il termine “Faito”) sulle cui sommità svetta il colle di Sant’Angelo con sullo sfondo il caratteristico “Molare” e il santuario di San Michele, edificato nello stesso posto in cui, secondo la tradizione, tra il VI e il VII secolo, si materializzò lo storico Arcangelo. Gli artisti la chiamano “veduta a volo d’uccello”. E’ quella che risalta sulle tele dipinte come nella visuale di un volo immaginario. Lo stesso che emerge ammirando la montagna mentre ti scorre sotto i piedi, comodamente seduti in una delle due cabine collegate alla funivia del Faito, l’impianto che unisce la città di Castellammare con la vetta dei Lattari. Un lungo filo di metallo che scorre per quasi tre chilometri, con un dislivello di 1.060 metri e una pendenza massima del 60%. La funivia, che quest’anno compie 60 anni di attività, fu aperta al pubblico per la prima volta il 24 agosto del 1952. Da allora ne ha trasportati di passeggeri sulle balze del Faito: migliaia di pendolari, ma anche turisti e viaggiatori semplicemente attratti dalla prospettiva di poter ammirare, sospesi nel vuoto, le bellezze di un luogo ameno e incontaminato. Un po’ quello che, se vogliamo, fino a non molti decenni fa, era possibile ammirare dalle carrozze della Funicolare del Vesuvio, la speciale ferrovia a cremagliera costruita alla fine dell’Ottocento per accompagnare i visitatori sui ripidi pendii del cratere. Inizialmente spinta da motori a vapore, poi elettrificati a partire dal 1904, fino alle soglie del XX secolo, la Funicolare, gestita dalla Thomas Cook Group, costituì l’unico impianto di risalita operante sulle balze di un vulcano attivo.[charme-gallery] L’opera fu inaugurata il 6 giugno del 1880 con un evento accompagnato da un’ondata di entusiasmo che si diffuse ben presto ovunque, come testimonia la celebre canzone musicata da Luigi Denza con testo di Peppino Turco “Funiculì funiculà”. Nel 1906, una terribile eruzione coprì ogni cosa. In poco tempo, però, il sistema di trasporto fu rimesso in funzione. L’escursione sul Vesuvio divenne, allora, una delle mete predilette dai turisti di mezzo mondo. Durò fino al 1944 quando, per la seconda volta nel giro di quarant’anni, il vulcano decise di affondare i colpi. La Funicolare fu allora nuovamente distrutta e mai più ricostruita. Nel 1947 si decise di rilanciare l’impianto creando la Società Ferrovia e Funicolare Vesuviana, ma come moderna seggiovia e non più ferrovia elettrica. Dal 1953 suggestivi sediolini saldamente allacciati a una fune d’acciaio, cominciarono a risalire i verdi pendii del vulcano regalando immagini di rara bellezza ai visitatori. Col passar del tempo, la seggiovia divenne a poco a poco inadatta, perché spesso inagibile, a causa del vento. E poi le sempre più numerose comitive che nel frattempo scalavano la “montagna di fuoco”, trovavano più agevole proseguire lungo la strada asfaltata aperta sui fianchi del cratere. Da qui la decisione, presa nel 1984, di fermare la seggiovia spezzando, dopo quasi cent’anni, il canto di “Funiculì funiculà”. Un sogno che dal 2002, la Regione ha provato invano a riportare in auge. E visto che si parla di sogni vissuti a cavallo di cabine trainate da funi meccaniche, come non parlare di quello rigorosamente “made in Naples”, una delle poche città al mondo a poter godere di ben quattro linee di funicolare, ovvero le monorotaia utilizzate per collegare il cuore della città con i quartieri “alti” del capoluogo? La più famosa, probabilmente, è la Funicolare Centrale, la linea che collega piazza Augusteo con piazza Fuga e da molti ribattezzata la “funicolare dello shopping” poiché mette in comunicazione le due zone commerciali più floride di Partenope: Chiaja, da una parte, via Scarlatti e via Luca Giordano, dall’altra. E sempre da Chiaja partono anche i vagoncini di una delle ferrovie elettriche più antiche d’Italia, le cui origini risalgono, addirittura, al 1889. La Funicolare di Chiaja unisce le zone residenziali del capoluogo con il Vomero, partendo dai rioni adiacenti alla Riviera ed alla Villa comunale: 500 metri di dislivello per raggiungere una delle due estremità della collina in circa 5 minuti. [charme-gallery]Tanti quanti, più o meno, ne occorrono per il terzo impianto a fune di Partenope: la Funicolare di Montesanto, opera che conserva in sé l’essenza stessa di Napoli. Fin dal 1891, infatti, questa linea collega la Pignasecca, una delle zone più popolari della città, ricca di negozi e suggestivi mercatini, con la parte residenziale del Vomero. Infine la Funicolare di Mergellina, forse la più famosa e suggestiva delle quattro “linee elettriche” del capoluogo, concepita per unire gli eleganti quartieri di Posillipo con il centro della città, via Caracciolo ed il porticciolo turistico di Mergellina. L’impianto attraversa parchi e giardini privati della Napoli vip dai quali è possibile godere un panorama da mille e una notte. Fino agli anni ’60 del secolo scorso, il capoluogo campano era dotato di un quinto impianto di risalita: la storica funivia Posillipo-Fuorigrotta inaugurata il 9 maggio del 1940, lo stesso giorno in cui avvenne il taglio del nastro della Mostra d’Oltremare, al cui interno era ubicata una delle due stazioni (l’altra si trovava ai piedi della collina di Posillipo). L’esercizio funzionò fino al 1961 quando, a causa della costruzione di alcuni grattacieli, la linea divenne pericolosa e si decise così di fermarla. Sorte simile, per fortuna, non è toccata a un altro celebre saliscendi d’acciaio: quello del Solaro a Capri. Certo, se duemila anni fa Tiberio avesse potuto approfittare di un impianto come quello , difficilmente si sarebbe fatto costruire una villa così imponente dall’altro lato dell’Isola Azzurra. Dalla stazione di via Caposcuro ad Anacapri, a pochi passi dalla centralissima piazza Vittoria, grazie a un sistema di 156 sedioline, si arriva comodi comodi sulla vetta più alta dell’isola dei Cesari nel giro di 12 minuti e qui, sul tetto del Solaro a tutti noto anche come “acchiappa nuvole” per la presenza costante di nubi, si rimane estasiati dalla splendida visuale offerta dal mare di Ulisse. Uno spettacolo che Capri è in grado di bissare con un altro viaggio a cavallo di una fune d’acciaio, quella che traina il trenino elettrico della Funicolare, uno speciale convoglio che si inerpica attraverso le limonaie e collega Marina Grande con il centro dell’isola in 5 minuti. L’impianto, che fu costruito nel 1907, è dotato di due stazioni capolinea. La prima si affaccia su piazzetta Angelo Ferraro, e si trova a ridosso del porto commerciale di Marina Grande; la seconda conduce, con una scalinata fino alla veduta panoramica e alla celebre piazzetta dei vip. Una favola da assaporare armati di macchina fotografica e binocolo. Lo stesso armamentario che occorre a quanti decidessero di godersi dall’alto l’altra perla del Golfo: Ischia. In verità oggi è possibile farlo accomodandosi nell’unica cabina della funicolare del Castiglione, un impianto privato che si trova all’interno dell’omonimo parco termale. Fino agli anni ’70, però, sull’Isola Verde era in funzione, dal porto fino al belvedere del Montagnone, una importante funivia con cabine aperte a due posti, che trasportava i turisti fin sulle vette dell’Isola. L’impianto, purtroppo, non è più in funzione, ma negli anni d’oro fece da location per un film degli anni ’60 (“Vacanze a Ischia”) ambientato proprio sullo storico approdo già caro ai nocchieri della Magna Grecia.