Ville nascoste. O solo semisconosciute. Ruderi che fanno capolino dalla cassaforte del tempo. Storie dell’Urbe pronte a risplendere ai margini dell’impero dei Cesari. Non ci sono solo i resti di Pompei, Oplonti ed Ercolano a testimoniare quanto grande fosse, un tempo, Roma nei suoi possedimenti in riva al Golfo. Stabia e gli scavi del Vesuvio sono un forziere tutto ancora da scoprire. Carico di gemme forse poco note, ma non per questo meno preziose di quelle che brillano sugli scaffali del Museo Archeologico di Napoli o al Metropolitan Museum di New York. Da Castellammare a Boscoreale, passando per i tesori dell’area nolana, quel che resta di antichi templi, sfarzose ville patrizie e ben attrezzate fattorie rurali, ammalia anche il più esigente dei visitatori. Basta saperli cercare sulla mappa geografica delle città sepolte e il gioco è fatto, la meraviglia è servita. La prima tappa è d’obbligo. Non fosse altro per il personaggio che ha legato il suo nome alla odierna cittadina di Ottaviano, sulle pendici del Monte Somma. E’ qui, nei confini territoriali di Somma Vesuviana, che sorge, infatti, un imponente edificio di epoca romana le cui fondamenta risalgono alla prima età imperiale. La struttura, più volte sepolta dalla lava eruttata nel corso dei secoli dal Vesuvio, fu scoperta casualmente intorno agli anni ’30 del secolo scorso e poi riportata alla luce, progressivamente, a partire dal 2002, grazie a una campagna sistematica di scavi promossa dall’Università di Tokyo. E’ probabile, nonostante non vi siano documenti in grado di “certificarlo”, che si tratti proprio della residenza in cui morì l’imperatore Cesare Ottaviano Augusto. A spingere verso questa ipotesi la straordinarietà stessa dell’edificio e la sua incredibile monumentalità.[charme-gallery] Il lavoro degli archeologi ha consentito di riportare alla luce uno sfarzoso colonnato, insieme a due pareti decorate con nicchie, una serie di pilastri muniti di arcate, e sul fondo, una parete su cui si aprono tre porte e due nicchie abbellite con stucchi decorati. Dallo scavo è emerso, inoltre, anche uno straordinario pavimento in parte mosaicato, in parte realizzato secondo la tecnica del “coccio pesto”, un impasto a base di malta e mattoni tritati. I lavori promossi dall’ateneo del Sol Levante hanno consentito di ampliare verso nord-est l’area dello scavo, riportando alla luce anche il torso di un satiro in marmo e, su una terrazza, due ambienti absidati riccamente decorati. Dalle pendici del monte Somma a Boscoreale, il passo è a dir poco breve. Si resta, infatti, nella cerchia dei Comuni che s’inerpicano lungo le pendici del cratere fin quasi a costellarlo, a mo’ di corona. Boscoreale deve il suo nome al fatto che, in epoca angioina, il territorio, allora coperto da una fitta vegetazione, fosse utilizzato dalla corte reale come riserva di caccia. In questo spicchio di Campania Felix, un tempo conosciuto come Pagus Augustus Felix Suburbanus, sobborgo agreste del villaggio di Pompei, gli archeologi hanno scoperto una serie di ville di epoca romana, per lo più di tipo rustico, in cui si concentravano attività legate alla pastorizia e alle coltivazioni, soprattutto di viti e cereali. Una sola di queste, però, è stata completamente scavata ed è oggi visitabile: si tratta di “Villa Regina”, restaurata anche a seguito della realizzazione, nel 1991, del museo dell’Antiquarium, posto proprio a ridosso dello scavo di cui costituisce parte integrante nel percorso di visita. Nell’Antiquarium, infatti, sono custoditi i pochi reperti rinvenuti nella zona della Pagus. [charme-gallery]La villa di Boscoreale è di dimensioni piuttosto ridotte, con pochi ambienti modestamente affrescati e un’ala dedicata al lararium dove è stata rinvenuta una statuina di marmo dedicata al dio Bacco. Si tratta, comunque, di un edificio che conserva in sé tutte le caratteristiche tipiche della piccola industria dedita alla produzione di vino. Lo stesso nettare che sarà corso a fiumi, duemila anni fa, nelle ville che un tempo costellavano l’antica linea di costa stabiese, oggi nota come “collina di Varano”. Siamo a Castellammare dove, fin dal 1749, gli scavi archeologici promossi dalla casata dei Borbone hanno riportato alla luce un complesso di costruzioni d’impareggiabile bellezza, a sua volta sepolto nel 79 d.C. dalla furia del Vesuvio. Rispetto ai più vicini siti di Pompei e Oplonti, quelli di Varano sono di dimensioni decisamente più piccole, ma offrono uno spaccato particolare dell’otium tanto caro agli abitanti dell’Urbe. Quelli che qui vennero a edificare alcune tra le loro dimore più belle. Stabia, infatti, a differenza di Pompei ed Ercolano, non ospitò una vera e propria città, ma un attrezzato borgo turistico con vista mozzafiato sul Golfo. Un luogo di villeggiatura tra i più gettonati dell’epoca, in cui presero forma numerose ville patrizie, abbellite con suppellettili di grosso valore. [charme-gallery]Edifici muniti di vasti quartieri abitativi, strutture termali, portici e ninfei decorati in maniera superba. Buona parte dei quali riposa ancora sotto terra, come nel caso della villa detta del Pastore o di Anteros ed Heraclo. Sono invece visitabili la Villa San Marco che con i suoi 11 mila metri quadri di spazio, è una delle più grandi tra le strutture romane a carattere residenziale dell’intera costa vesuviana; la Villa Arianna, ritenuta la più antica di tutto il sito e così denominata per la grande pittura a soggetto mitologico rinvenuta nella parete di fondo del triclinio e, infine, il cosiddetto “Secondo complesso” del Varano, affiancato al precedente scavo e i cui pavimenti, asportati in epoca borbonica, decorano oggi il Museo Nazionale Archeologico di Napoli calpestati da turisti e appassionati accompagnandoli lungo il più affascinante dei percorsi alla riscoperta dei tesori perduti della Roma del Vesuvio.