Sentinelle di pietra. Colossi di roccia e granito innalzati ai confini del Regno di Napoli. Contrafforti pesanti e massicci: barriere invalicabili da contrapporre alle orde degli invasori, spesso giunte dal mare a minacciare villaggi e borghi dell’entroterra. Ma anche comode e lussuose dimore per il signorotto di turno e il suo frizzante entourage. Eccoli i castelli d’Irpinia, autentiche perle architettoniche di un angolo meraviglioso e in parte ancora sconosciuto della Terra Felix: svettano a decine da un angolo all’altro della provincia. Da Lauro a Bisaccia, da Grottaminarda a Gesualdo, da Sant’Angelo dei Lombardi a Savignano Irpino: elencarli tutti è impossibile, tanto la provincia irpina ne è ricca. Manieri dalle forme imponenti e al tempo stesso eleganti, simbolo evidente di una terra fertile e rigogliosa, da proteggere a tutti i costi. Anche con la forza delle armi e la possenza di rocche turrite che ancora riecheggiano del cozzo di spade e armature. Passarli in rassegna uno dopo l’altro sarebbe impresa degna del più lungo e logorante degli assedi. Dare uno sguardo a quelli più famosi e gettonati è cosa, invece, possibile. A patto, però, che si allaccino le cinture del tempo e ci si imbarchi in un appassionante “grand tour” tra blocchi di pietra e ponti levatoi.
Da dove iniziare? Ma è semplice. Da uno dei castelli meglio conservati di tutta la regione: quello di Lauro, Comune della bassa Irpinia, ad ovest dell’area nolana. Si tratta del maestoso e “panoramico” maniero feudale dei Lancellotti, monumento simbolo di Lauro, oggi apprezzata Residenza d’epoca nonché qualificata location per meeting, convegni ed eventi di alta classe.
Le cronache raccontano che la rocca fu edificata ai principi dell’anno Mille probabilmente dai Normanni e poi, dopo una lunga serie di passaggi di mano, acquistata dalla famiglia Lancellotti. Nel 1799, in seguito a una rivolta filo borbonica, fu quasi completamente distrutta dalle truppe francesi sostenitrici della Repubblica Partenopea. Fu riedificata solo nel 1872 grazie all’intervento del principe Filippo Lancellotti.
A guardarlo oggi, colpiscono le sue forme architettoniche in cui, come in un sottile gioco di linee, l’impronta rinascimentale sembra quasi alternarsi all’elemento gotico e a quello barocco. Il fortilizio è dotato di possenti torri quadrangolari orlate, in superfici, con merlature e archetti pensili. Tra queste quella principale, concepita, in origine, per trasformarsi nell’estremo baluardo difensivo in caso di conquista, troneggia sull’intero impianto dall’alto dei suoi oltre sedici metri di altezza. Decisamente caratteristico è anche il cortile interno: uno spazio che si spalanca subito dopo il portale d’ingresso, con una elegante fontana al centro costruita con materiale architettonico di epoca romana. La zona destinata alle abitazioni è caratterizzata, invece, dalla presenza di ampi ed eleganti vani dai nomi altisonanti e suggestivi che ne evidenziano l’uso e l’impiego attraverso i secoli: Sala delle Armi, Salone Rosso, Sala della Musica, Farmacia, Scuderia con carrozze e Biblioteca. Dal secondo cortile si può poi accedere alla graziosa cappella privata dei Lancellotti. E parlando di manieri “conservati” in maniera eccellente, come non citare in questa stessa sede la meraviglia architettonica di Montemiletto? Stiamo parlando di una rocca eretta su un rilievo montuoso affacciato sulla valle attraversata dai fiumi Calore e Sabato. Oggetto di un recente restauro, il castello di Montemiletto, meglio noto come “castello della Leonessa” è di origine longobarda e fu costruito fra l’VIII e il IX secolo. Passato in mani normanne, agli inizi del XV secolo fu rovinosamente assediato e quindi conquistato dalle armate angioine del conte de Tocco. Feudo dei Durazzo prima e dei Caracciolo poi, divenne proprietà del casato Leonessa e quindi trasformato in residenza gentilizia. Alla fine del ‘400 passò nuovamente ai de Tocco, che lo riacquisirono e ne amministrarono le rendite feudali sino al 1806. L’edificio ospitò due volte Carlo III di Borbone.[charme-gallery]
In tutt’altra zona della provincia avellinese e precisamente a Bisaccia, praticamente ai confini con Puglia e Basilicata, sorge un altro millenario maniero: il Castello Ducale di Bisaccia. Si pensa sia stato costruito dai Longobardi intorno alla seconda metà dell’VIII secolo, sulle fondamenta di una vecchia fortezza bizantina innalzata su uno sperone del monte Calvario. Nel 1158 un pauroso terremoto lo rase praticamente al suolo. Ci pensò Federico II di Svevia a ricostruirlo e, più tardi, il casato spagnolo degli Aragonesi rimetterlo in sesto. Le cronache raccontano che, prima di passare stabilmente alla famiglia Pignatelli d’Egurant (sul portone d’ingresso c’è ancora lo stemma del casato), verso la fine del XVI secolo il castello fu trasformato in residenza signorile diventando proprietà di Giovan Battista Manso, amico del poeta Torquato Tasso, che fu a sua volta ospite della rocca nel 1588.
Il fortilizio, che può contare su una “galleria” di 42 stanze, ospita oggi un museo che mostra vari reperti archeologici tra cui, quello preziosissimo della “Tomba della principessa di Bisaccia”, sepoltura di una persona di alto rango risalente all’età del Ferro (IX-VII secolo a.C.).
A non molta distanza dal capoluogo, nel territorio municipale di Capriglia Irpina, cuore della provincia avellinese, sorge un’altra imponente dimora piena zeppa di storia, non solo per le sorti della Campania Felix, ma anche per quelle della Cristianità occidentale: Palazzo Carafa detto anche “Castello” Carafa.
Il fabbricato fu innalzato dalla famiglia Carafa ai piedi del monte Partenio nel corso del XVI secolo, sulle rovine di un preesistente maniero di epoca medievale posto a guardia della strada che da Avellino conduceva a Benevento.
La struttura colpisce per l’aspetto delle sue lunghe torri laterali a pareti concave dalla caratteristica merlatura guelfa e con semplici finestre rettangolari: due lunghi corpi di fabbrica che si affacciano su un ampio giardino al quale è possibile accedere imboccando un imponente portale ad arco in pietra arenaria e da qui transitando sotto le volte di un androne. Sulla facciata principale si spalancano sei finestroni ad arco disposti in maniera simmetrica su due piani.
Secondo la leggenda, nel 1476 in questo stesso castello sarebbe nato Papa Paolo IV, al secolo Gian Pietro Carafa, il cui pontificato ebbe un’importanza fondamentale nello sviluppo dell’Inquisizione Romana.
Nel corso degli anni, il castello di Capriglia passò da un proprietario all’altro, transitando dalle mani di Ottimo Caracciolo a quelle di Niccolò d’Aquino fino ad approdare ai Carafa. L’edificio, definitivamente abbandonato dopo l’ultimo conflitto mondiale, ospita al piano superiore un grande Salone le cui pareti, un tempo, erano decorate con un ricco ciclo di affreschi oggi scomparsi.
E passiamo, ora, ad un altro celebre castello avellinese, quello di Gesualdo, famoso perché appartenuto al grande madrigalista Carlo Gesualdo, principe di Venosa, balzato agli onori delle cronache nel 1590 per il brutale omicidio della moglie Maria d’Avalos, colta in flagrante adulterio a Napoli, nelle stanze di Palazzo San Severo, insieme con l’amante Fabrizio Carafa e qui eliminata a colpi di pugnale.
Il castello nasce come fortilizio longobardo costruito in posizione elevata sulla sponda settentrionale del torrente Fredane. Profondamente modificato nel corso del XIX secolo, si presenta con una vasta pianta rettangolare munita di corte centrale con agli angoli quattro torri di forma cilindrica, e tutto intorno mura possenti dotate di balconi e finestre. Fu in questo maniero che il grande compositore scelse di rifugiarsi, dopo il brutale assassinio della moglie, dedicandosi alla musica e componendo, negli ultimi anni della sua vita, numerosi madrigali. E fu sempre don Carlo, in occasione delle sue seconde nozze con Eleonora d’Este, a trasformare la rocca di Gesualdo in una sontuosa residenza gentilizia in stile rinascimentale, dotandola di nuovi appartamenti, stanze e gallerie addobbate con pitture manieriste.
Da Gesualdo il viaggio tra i castelli della verde Irpinia ci porta dritti dritti nella valle del fiume Ufita. A Grottaminarda, per la precisione, cuore della provincia settentrionale avellinese. E’ qui, a circa 453 metri d’altezza, che sorge un altro dei più celebri e imponenti castelli campani: quello d’Aquino. La rocca prende il nome del capostipite Landolfo d’Aquino che nel 1229 ne entrò in possesso, trasformandola nel simbolo stesso del suo potere.
Profondamente restaurato e più volte potenziato, il colosso di roccia ha sempre assolto, fin dalla posa della prima pietra (risalente al XII secolo), al suo ruolo di “difensore” del paese dalle scorrerie dei nemici. Ulteriormente restaurato, ospita oggi una qualificata Biblioteca e un importante Museo Antiquarium in cui sono conservati reperti preistorici ed altri di epoca romana, tra i quali la testa di un personaggio maschile del I sec. D. C. ritrovata nel giardino del castello.
Chiudiamo questa speciale… carrellata storica “zoomando” dritti dritti su due castelli dalle forme particolarmente “compatte”: il Castello di Sant’Angelo dei Lombardi e quello di Taurasi.
Il primo, edificato dai Longobardi nel X secolo e potenziato nel corso del XI secolo dai Normanni, sorge nel punto più alto dell’antico nucleo urbano. Profondamente modificato nel corso dei secoli e oggetto di numerose ricostruzioni si trasformò, con i Caracciolo prima (nel XVI secolo) e il Principe Placido Imperiale poi (nel 1768), in una sontuosa residenza gentilizia, dicendo definitivamente addio alle forme medievali che lo avevano caratterizzato fin dalla nascita. Gravemente danneggiato dal terremoto del 1980 e profondamente ristrutturato, nel XIX secolo è stato utilizzato prima come sede di tribunale e carcere, poi come sede dell’archivio notarile e di alcuni uffici della magistratura.
Il Castello di Taurasi, invece, svetta dall’alto di un colle praticamente affacciato sulla valle attraversata dal fiume Calore. La sua nascita è legata a quella del borgo di cui fa parte avendo visto la luce, con ogni probabilità nel X secolo, durante la dominazione dei principi longobardi. Preso e distrutto dai saraceni, fu ricostruito dai Normanni. Nel 1381 lo ritroviamo tra i beni di Giacomo Filangieri. Pochi decenni più tardi in quelli del conte di Avellino Sergianni Caracciolo. Assalito e danneggiato dalle truppe aragonesi alla fine del XV secolo, fu ricostruito nella prima metà del XVI secolo e ulteriormente rimaneggiato agli inizi del Seicento, quando fu trasformato in un ampio e confortevole palazzo nobiliare. Nel maniero, conosciuto anche come “Palazzo Marchionale”, secondo le cronache, nel 1566 sarebbe nato Carlo Gesualdo, la cui famiglia nel frattempo era entrata in possesso della dimora. Il loro stemma nobiliare, insieme a quello della Casata d’Este, campeggia ancora sul gigantesco portale ad arco d’ingresso del palazzo.
La rocca che fu visitata anche da Torquato Tasso, ospita oggi l’Enoteca Regionale dei Vini d’Irpinia. E merita di essere visitata per la bellissima scalinata elicoidale in pietra che ne addobba il mastio e la straordinaria cappella di San Pietro a Castello, con la sua volta finemente decorata di stucchi e il pregevole altare in marmo color marrone-oro.