Rocce di mare ricolme di storia

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La storia scolpita dal mare. Cullata dalle onde. Modellata da venti e tempeste. Scogli che sembrano pietre, ma pulsano vita e ricordi. Sussurrano fatti e leggende. Custodiscono rovine rese preziose dal tempo. Rovigliano, Megaride, i Faraglioni e la Pietra di Pozzuoli. Più che semplici blocchi calcarei erosi dal Tirreno. Isolotti, forse. Un tempo abitati. Sede di templi, castelli e ricche dimore, poi consegnati ai forzieri della memoria. Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia raccontava che i pesci della “Petra Herculis”, presso Stabia, erano così voraci da divorare l’esca senza abboccare all’amo. Parlava di Rovigliano, lo scrittore romano. Parlava dell’isolotto posto alla foce del Sarno a metà strada tra Torre Annunziata e Castellammare. Duemila anni fa quella pietra, che deve, forse, l’origine del nome alla famiglia dei Robilii (ma non è escluso che il termine Rovigliano derivi dalla pianta erbacea “robilia” che cresceva sulle sue balze), ospitava un santuario dedicato al mitico eroe. Fu su quello scoglio, incastonato quasi nel cuore del Golfo, che i Longobardi combatterono la loro ultima sanguinosa battaglia. E fu sempre a Rovigliano che, in pieno Medioevo, vide la luce un monastero dedicato al culto di San Michele Arcangelo e Santa Barbara, Vergine e Martire. Durante gli anni del vicereame spagnolo, la “petra” fu fortificata e munita di torri di guardia per difendere la vicina costa dalle scorrerie dei saraceni. Lo scoglio di Rovigliano assunse così una funzione militare che mantenne inalterata fino all’epoca dello stato borbonico, quando fu ulteriormente fortificato per assumere l’aspetto del fortilizio che conserva attualmente. [charme-gallery]Dalle rovine di Rovigliano all’Isola Azzurra il passo è breve. Poche miglia nautiche separano, infatti, la sentinella di Ercole dal buen ritiro di Tiberio. Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare dei mitici Faraglioni, simbolo per antonomasia della bella Capri. Sembra che il nome “Faraglioni” tragga origine dalla parola greca “pharos” (faro). In epoca antica, per guidare la navigazione i nocchieri delle Poleis si orientavano utilizzando le alture della costa come punti di riferimento: mettevano sulle loro cime dei fuochi che restavano accesi durante la notte. In questo modo i timonieri evitavano di arenarsi o di andare a cozzare contro secche e rocce. E’ probabile, dunque, che gli stessi Faraglioni di Capri, vista l’enorme mole che li contraddistingue, abbiano assunto questo scopo nell’antichità segnalando i punti di passaggio ai timonieri che si addentravano nelle acque del Golfo. I Faraglioni rappresentano il marchio di Capri, l’isola più conosciuta al mondo. Il primo, attaccato alla costa, si chiama “Stella” e misura 109 metri di altezza. Quello di mezzo è ribattezzato “Faraglione di Mezzo”: è alto 81 metri ed è attraversato da una suggestiva galleria naturale lunga circa 60 metri. Quello più esterno si chiama “Scopolo” e misura 104 metri. Leggermente appartato, alle spalle degli altri tre, svetta un quarto faraglione, più piccolo ma molto più esteso. Sul “Monacone” il ritrovamento dei resti di una scala romana sulle sue balze che ha alimentato la leggenda che il “quarto faraglione” fosse stato adibito, nell’antichità, a monumento funerario per Masgaba, il mitico architetto africano che firmò alcune tra le più belle e prestigiose ville imperiali dell’isola.[charme-gallery] I Faraglioni hanno sempre stimolato la fantasia, a tal punto che lo stesso Virgilio li citò nell’Eneide legandoli al mito delle Sirene, le spaventose quanto affascinanti creature marine che con il loro canto ammaliavano gli equipaggi delle navi, facendoli naufragare. Se abitavano sotto i Faraglioni oppure nei vicini scogli di Punta Campanella, questo sta alla fantasia del lettore deciderlo. Perché trattandosi di grotte e scogliere sommerse nulla al mondo può aver impedito alle mitiche fanciulle dalla coda di pesce di nuotare fino alla vicina Penisola. Fino agli scogli di Punta Campanella, per capirci. Estrema propaggine della Costa di Sorrento, il luogo in cui, milioni di anni fa, la terra si spaccò in due, dividendo per sempre Capri dalla terraferma. E’ qui, su questi lembi estremi di roccia che i Normanni costruirono la loro torre di avvistamento più famosa. La rocca fu munita di campanella, da cui il nome dato alla “Punta” di Massa Lubrense. La guarnigione la suonava per dare l’allarme in caso di avvistamento dei vascelli moreschi. Capri e Sorrento non sono molto distanti da Napoli. E’ facile immaginarsi gli equipaggi ellenici doppiare Punta Campanella, magari fare tappa sul santuario di Ercole prima di drizzare la prua alla volta della nuova Polis che gli antichi vogliono colonizzata a partire da Megaride, probabilmente lo scoglio più famoso di Partenope.[charme-gallery] Secondo il geografo Strabone, questo lembo di roccia e terra fu occupato da una colonia proveniente da Rodi, tra il IX e l’VIII secolo a. C., che qui vi aprì un emporio commerciale. Secondo un antico mito, prima ancora della fondazione di Napoli, fu a Megaride che venne ad arenarsi il corpo senza vita della sirena Partenope morta d’amore dopo il rifiuto di Ulisse. Ed è su questo stesso scoglio che il patrizio romano Lucullo si fece edificare, quasi mille anni più tardi, la sua dimora più ricca e sfarzosa, gettando involontariamente le basi per le future fondamenta di Castel dell’Ovo, il maniero reso poi famoso dalla leggenda di Virgilio. Da uno scoglio all’altro, rimanendo lungo la stessa linea di costa verso i Campi Flegrei, ecco che spunta la “Pietra di Pozzuoli. Zona di bagni termali e di trachite, lo scoglio fu già utilizzato dai romani e poi lavorato, in periodo borbonico, dai detenuti del carcere di Nisida. La Pietraè ritenuta una sorta di anello di congiunzione tra le innumerevoli terme che da Bagnoli a Pozzuoli caratterizzavano il territorio flegreo e le ricche dimore della nobiltà dell’Urbe. Simbolo vivente di quella “Terra del Mito” che da secoli, ormai, tesse la sua trama d’incanto e fascino.