Napoli e le sue chiese nel “gran tour” di Pasqua

Grand tour della fede per Pasqua, le Chiese di Napoli da visitare per i sepolcri

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Nel “grand tour” della fede made in Naples, in fatto di “luminosità” e sfarzo, chi non ha rivali è la chiesa del Gesù Nuovo, autentico testimonial dell’arte barocca nella città del Golfo e nuova fermata proposta da Charme per la sacra “promenade” di fede da fare nei giorni delle festività pasquali.

Fatta edificare dai Gesuiti tra il 1584 e il 1601 sulle fondamenta del palazzo nobiliare dei Sanseverino, del quale conserva ancora la caratteristica facciata a punta di diamante realizzata nel 1470 da Novello da San Lucano, la chiesa si denota per il ricchissimo apparato di marmi policromi e per le sgargianti decorazioni che ne addobbano pavimenti volte e superfici murarie. Sono straordinari anche i numerosi affreschi, i dipinti e le sculture opera, tra gli altri, di maestri del calibro di Francesco Solimena, Paolo De Matteis, Belisario Corenzio, Massimo Stanzione, Giuseppe Ribera, Matteo Bottiglieri e Francesco Pagano. Il Gesù Nuovo, così chiamato per distinguerlo dalla “vecchia” chiesa del Gesù, custodisce al suo interno il corpo di San Giuseppe Moscati e le stanze private all’interno delle quali il famoso medico originario di Benevento soggiornava e riceveva i suoi pazienti.

Dal Gesù Nuovo a un’altra delle mete più gettonate dai fedeli nei giorni delle festività pasquali il passo è breve, per non dire brevissimo. La prossima tappa del nostro “tour” pasquale, infatti, ci porta a pochi isolati di distanza dalla basilica dei gesuiti, nel cuore stesso dei Decumani, fulcro della Neapolis greco-romana. Fari puntati, dunque, sulla chiesa di Santa Chiara, complesso religioso edificato tra il 1310 e il 1340 per volere di Roberto d’Angiò e della regina Sancha d’Aragona, proprio nei pressi dell’allora cinta muraria occidentale di Partenope, oggi piazza del Gesù Nuovo, a pochi passi da via Spaccanapoli, stradina che ne lambisce l’area del campanile e il porticato d’ingresso.

La cittadella dei frati francescani fu innalzata sulle rovine di un complesso termale romano del I secolo d.C., i cui reperti sono in parte ancora visibili sotto le fondamenta del “monastero” ed in una delle sale del Museo dell’Opera di Santa Chiara, insieme con i resti degli arredi scultorei e agli oggetti di uso comune e arte sacra recuperati dalla chiesa di età angioina (XIV secolo).

La chiesa, con i suoi interni sobri e imponenti, è anche l’ultima dimora di re Roberto d’Angiò, la cui tomba a baldacchino troneggia alle spalle dell’altare maggiore, nonché il luogo dell’eterno riposo degli ultimi sovrani del Regno delle Due Sicilie, tutti tumulati nella cappella dei Borbone. Inoltre, proprio all’ingresso, Santa Chiara ospita anche le spoglie di Salvo d’Acquisto, il carabiniere eroe sacrificatosi, durante la Seconda Guerra Mondiale, per salvare un gruppo di civili innocenti dalla rappresaglia dei tedeschi. Il “monastero” è anche famoso in tutto il mondo per il grandioso chiostro maiolicato delle Clarisse realizzato nel 1742 da Domenico Antonio Vaccaro che ne rivestì la struttura e i 72 pilastri ottagonali con stupende mattonelle policrome fatte realizzare dai maestri “riggiolari” napoletani Donato e Giuseppe Massa.

Uscendo dalla cittadella francescana e ripercorrendo il tracciato dei Decumani fino a raggiungere la non distante piazza San Domenico, i fedeli possono costeggiare un altro dei templi della fede cristiana “made in Partenope”: la chiesa di San Domenico Maggiore.

Fatta costruire tra il 1283 e il 1324 da re Carlo II d’Angiò sui resti di una vecchia chiesa del X secolo e profondamente danneggiata, nel corso del XV secolo da una serie di terremoti, la struttura, rielaborata in forme barocche nel corso del 700, è famosa per la sua caratteristica Sagrestia a forma rettangolare, con pavimenti in marmo, suggestivi arredi lignei intagliati e una volta ornata da stucchi, fregi e un affresco del Solimena. Nonché il luogo in cui sono custodite 45 casse sepolcrali di personaggi della nobiltà del Regno di Napoli e in particolar modo della casta aragonese. L’interno della struttura è ricco di dipinti tra cui spiccano tele di Tommaso De Vivo, Pietro Cavallini, Solimena e sculture tra cui il meraviglioso altare maggiore realizzato da Cosimo Fanzago. Fu qui, a quanto pare, che il poeta Boccaccio, durante il suo soggiorno napoletano, studiò i rudimenti del diritto. Ma fu in un’altra chiesa, non molto distante dal complesso domenicano, raggiungibile imboccando la parte alta di via San Gregorio Armeno, che l’autore del Decamerone incontrò Fiammetta, l’amore della sua vita. Si tratta di San Lorenzo Maggiore, chiesa “gemella” di San Domenico perché fatta innalzare praticamente nello stesso periodo, per volere di re Carlo d’Angiò.

Anche San Lorenzo, come San Domenico, fu ridisegnata in forme barocche tra il Seicento e il Settecento. Tuttavia, i lavori di restauro portati avanti nel corso del XX secolo sono riusciti a riportare alla luce le originarie forme gotiche del complesso.

A guardarla oggi, colpisce la facciata settecentesca, opera di Ferdinando Sanfelice, in cui si conserva intatto il portale marmoreo del XIV secolo. E l’abside con le volte a crociera. Di ampio spessore sono anche le cappelle a raggio in cui la luce penetra e si diffonde attraverso alte finestre, come pure le numerose opere artistiche tra cui spiccano il Sepolcro di Caterina d’Austria con sculture di Tino da Camaino (1323) e il Cappellone di Sant’ Antonio, opera di Cosimo Fanzago (1638).

Uscendo dal Centro Storico di Napoli e imboccando l’antico quartiere del Mercato, a due passi dal mare, laddove un tempo sorgevano le mura della città e il Castello del Carmine, ci si imbatte in una delle più antiche e venerate chiese di tutta Napoli e, dunque, da includere nel tradizionale giro dei Sepolcri: Santa Maria del Carmine. L’edificio, con il suo caratteristico campanile alto 75 metri (il più alto in assoluto della città), vide la luce agli inizi del Trecento sulle fondamenta di una vecchia chiesetta in cui si venerava l’icona della Madonna detta “la Bruna”, dipinto di scuola toscana del XIII secolo. E’ anche questo il posto in cui è sepolto Corradino di Svevia, l’ultimo imperatore del Sacro Romano Impero, decapitato, ancora fanciullo, nel 1268, nella vicina piazza Mercato per volere di re Carlo d’Angiò a cui il rappresentante degli Hohenstaufen aveva conteso, invano, il Regno di Napoli. Nel chiostro di questa stessa chiesa, il 16 luglio del 1647 fu inoltre ucciso Masaniello, l’eroico pescivendolo re degli scalzi. C’è una ricorrenza, tuttavia, che rende la chiesa dei frati carmelitani, uno dei luoghi sacri più frequentati di tutto il capoluogo campano.  Ogni anno, infatti, il 16 luglio, in occasione della festa della Madonna del Carmine, per rievocare la memoria di un antico assedio saraceno sventato dai cristiani, il campanile viene illusionisticamente incendiato grazie a un gioco di fuochi d’artificio. Il fuoco si spegne solo con l’arrivo dell’immagine della Madonna. Inoltre, a rendere ancora più preziosa la basilica, c’è il fatto che, proprio sotto l’arco trionfale d’ingresso è esposto un grande crocifisso ligneo protetto in una teca chiusa, a ricordo di un miracolo che risalirebbe al 1439. Secondo la tradizione quel Cristo avrebbe chinato il capo schivando così un colpo di bombarda esploso durante l’assedio di Alfonso d’Aragona.

E ora passiamo alla sesta tappa del giro delle “sette chiese” spalancando, simbolicamente, i battenti di un’altra antichissima chiesa napoletana: San Giovanni a Carbonara. La sua mole svetta quasi trionfante in cima a una scalinata in piperno opera di Ferdinando Sanfelice (1707). La posa della prima pietra di questo importante tempio della fede risale al 1343, per volere di re Ladislao di Durazzo il cui imponente sepolcro, alto 18 metri e sostenuto da cariatidi che raffigurano le quattro Virtù, svetta dietro l’altare maggiore. Ultimata agli inizi del XV secolo, la chiesa di San Giovanni custodisce al suo interno preziose opere di scultura. Danneggiata dalle bombe dell’ultima guerra, la struttura è stata oggetto di lunghi restauri nel corso del XX secolo e può offrire ai fedeli l’incanto di un prezioso pavimento maiolicato del XV secolo. Di particolare pregio sono, inoltre, gli affreschi quattrocenteschi di Perrinetto da Benevento e Leonardo da Besozzo. Ma anche le sculture e le decorazioni che addobbano le cappelle Miroballo e Caracciolo di Vico, in particolar modo quest’ultima, decisamente particolare per l’ambiente dotato di ampia cupola a lacunari e di un ricco pavimento decorato con intarsi marmorei.

Infine, chiudiamo con la nona e ultima tappa del gran tour napoletano dei Sepolcri. E spostiamoci nella chiesa di San Filippo Neri, l’ideatore del “giro delle sette chiese”. L’edificio in questione, detto anche dei Girolamini, sorge nella zona alta dei Decumani e per la precisione lungo il percorso di via Tribunali. La chiesa è annessa a un convento al cui interno è ospitata un’importante pinacoteca che risale alla fine del Cinquecento. L’edificio testimonia lo speciale legame che univa, a quei tempi, la metropoli del Golfo con gli artisti toscani, romani ed emiliani. Non a caso il progetto architettonico, voluto e coperto dai padri dell’ordine di San Filippo, reca la firma di un fiorentino: Giovanni Antonio Dosio così come il coordinamento dei lavori, iniziati nel 1592, sotto la guida dell’architetto Ferdinando Fuga, a sua volta nato proprio a Firenze.

All’interno dei Girolamini si ricordano, inoltre, il dipinto “Sant’Alessio moribondo” opera di Pietro da Cortona,  “l’Incontro di Gesù” e “San Giovanni Battista” disegnati dal bolognese Guido Reni.

Le sculture sono invece del Bernini mentre sulla controfacciata spicca un affresco di Luca Giordano. Per la sua sfavillante decorazione barocca in oro, la chiesa dei Girolamini fu detta “la Domus Aurea”. Al suo interno sono custoditi i resti mortali del filosofo vicano Giambattista Vico che nell’Oratorio lavorò a lungo per ordinare ed ampliare la famosa biblioteca ricca di oltre 60mila fra libri e incunaboli. Oltre alla chiesa, il complesso di via Tribunali comprende anche il convento e due chiostri: quello maiolicato e quello cosiddetto “segreto” degli aranci.