L’intreccio di lave secolari, il verde maestoso dei boschi, la corona dei cognoli del monte Somma, i paesaggi mozzafiato della Valle dell’Inferno, l’incanto del Golfo di Napoli, gli scavi archeologici. Sua maestà dominante, il Vesuvio, croce e delizia delle genti napoletane, è uno dei principali della Campania. Onore e vanto della Terra Felix, ma anche minaccia perenne sui destini di migliaia e migliaia di persone.
Il “grande vecchio” sonnecchia tranquillo. E si lascia ammirare, sornione, in tutta la sua plurisecolare e maestosa bellezza. Nei suoi forzieri si nascondono prelibatezze e bontà che solo queste terre fertili sono in grado di forgiare: uve tra le più ricche e saporite, da cui si ricavano vini delicati come il Doc Lacryma Christi. Albicocche tenere e dolci, di quelle che si sciolgono in bocca. E fichi gustosissimi dal colore verde e sanguigno.[charme-gallery]
Buono da vedere, insomma. Ma anche da assaggiare. Perché il Vesuvio si ammira con gli occhi, ma anche con il palato. Una rarità, per dirla tutta. Che merita di diritto un posto in prima fila nella speciale galleria dei capolavori forgiati dal pianeta terra, fianco a fianco con il Grand Canyon, la Foresta Nera e la Barriera corallina. Il posto più alto tra le 7 meraviglie del mondo, per la verità, solo per un soffio il Vesuvio non è riuscito a guadagnarselo sul serio, sfiorando addirittura la finale del concorso internazionale “New7wonders” ideato dalla New Open World Corporation per scovare le “nuove sette meraviglie del mondo”. Vuoi mettere, d’altronde, il fascino inimitabile che esercita il vulcano cantato da Seneca e Virgilio, Boccaccio e Vitruvio? E poi: quale altra “meraviglia” al mondo può vantare la storia leggendaria di questo cono? Quale altro vulcano può fregiarsi di aver ispirato, pittori e artisti antichi e moderni, canzonieri e poeti come ha fatto, nel corso dei secoli, la montagna di “Funiculì Funiculà”?[charme-gallery]
Pompei, Oplontis ed Ercolano devono, tragicamente, la loro fama alla furia distruttrice del cratere. E gli schiavi del gladiatore ribelle Spartacus seppero farsi gioco dei legionari romani proprio affrontandoli sulle pendici del monte infuocato. Gli stessi briganti borbonici che, subito dopo l’unità d’Italia, tennero in scacco le truppe piemontesi, trovarono qui i loro rifugi. E ancora: il Vesuvio è l’unica montagna a custodire, lungo i suoi ripidi fianchi, testimonianze archeologiche di ville e città risalenti all’antica Roma, giunte praticamente intatte fino ai giorni nostri grazie all’opera distruttrice prima, e “conservatrice” poi, di lave, ceneri e lapilli.
Qualcuno, duemila anni fa, arrivò addirittura a pagare con la vita il suo amore per lo Sterminator Vesevo. Plinio il Vecchio, questo il suo nome, spirò, infatti, sulla spiaggia di Stabia, stroncato dai vapori e dai gas espulsi nella tristemente celebre eruzione che nel 79 d.C. cancellò Ercolano, Pompei e Oplonti. Era proprio nel suo stile descrivere le cose dal vivo. Per nessuna cosa al mondo l’ex procuratore della Gallia Narbonense si sarebbe perso quell’evento. Proprio per questo Plinio viene riconosciuto, oggi, come il primo vulcanologo della storia e in suo onore si utilizza il termine di eruzione pliniana per definire una eruzione catastrofica, di tipo esplosiva. Il celebre scrittore originario di Como si trovava nella sua casa di Miseno quando fu raggiunto da una lettera d’aiuto inviatagli da un’amica di Ercolano. Non ci pensò su due volte. Armò alcune galee e salpò dalla cittadina flegrea dirigendosi verso la vicina costa vesuviana per prestare soccorso agli sventurati abitanti in quel momento flagellati dalla nube ardente. La furia del Vesuvio, tuttavia, non gli consentì alcun attracco e così Plinio fu costretto a dirigere la prua verso Stabiae (l’odierna Castellammare di Stabia) dove vi trovò la morte, probabilmente soffocato, a 56 anni. I dettagli dell’eruzione del 79 d.C e gli ultimi istanti di vita di Plinio il Vecchio sono giunti fino a noi attraverso il racconto che di quei drammatici momenti fece suo nipote Plinio il Giovane.[charme-gallery]
Grazie all’incredibile bellezza e alle innumerevoli testimonianze che si accavallano nelle pagine della sua storia millenaria, il Vesuvio, cartolina di Napoli e del Golfo, vulcano ancora in attività dell’intera Europa continentale insieme con il siciliano Etna, merita, dunque, un posto d’onore tra le perle più brillanti della terra. Una rarità che vanta qualcosa come 25mila (e passa) anni di vita e un discreto numero di “risvegli” grazie ai quali l’intero ecosistema circostante ha cambiato più volte aspetto. L’ultimo risale al 1944, in piena Seconda Guerra Mondiale. Da allora il vulcano cantato da Giacomo Leopardi e Victor Hugo è entrato in letargo e tutti sperano che resti ancora a lungo “il Bello addormentato nel Golfo”, così come lo ha definito, anni fa, il giornalista e scrittore Mimmo Carratelli, lasciandosi ammirare placido e sornione in tutta la sua maestosa e preoccupante dominanza su Napoli.