Non solo greci e romani, la Campania degli altri popoli

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Oltre i greci e i romani. Perché la Campania, culla di polis e municipi latini, non fu solo base di conquista per prodi nocchieri e intrepidi legionari. Altri popoli, altre genti vennero a svernare sui ricchi pascoli e le verde vallate di questa terra fertile, fondando città, leghe e piccoli imperi. Oscii, etruschi, sanniti e lucani: fiere tribù che seppero domare la furia dei venti e l’asprezza dei monti, marcando con loro sangue i suoli appena conquistati. Una presenza, quella degli antichi coloni della Terra Felix, racchiusa in un vasto arco di tempo compreso tra il primo millennio e il V secolo a.C.

Atripalda, Montesarchio, San Salvatore Telesino e Benevento in Campania. Isernia in Molise, Alfedena in Abruzzo. Sei cittadine disseminate in tre regioni diverse. Cos’hanno in comune? Furono fondate dallo stesso popolo: i Sanniti, bellicosa tribù italica stanziata in un territorio corrispondente all’attuale Campania settentrionale, all’alta Puglia, a gran parte del Molise, al basso Abruzzo e all’alta Lucania, molto prima che i romani si affacciassero sulla scena. Sanniti erano anche gli Irpini, che poi colonizzarono il territorio di Abellinum. E i Caudini, che spopolarono nelle vallate teatro di una delle più clamorose disfatte di Roma. E Sanniti furono i più forti soldati schierati, più tardi, dall’Urbe nel blocco granitico delle legioni, una volta domata la loro potenza. Il che non fu impresa facile. Le guerre sannitiche tennero impegnata la città del Tevere per quasi mezzo secolo e solo al termine di una lotta incredibile, che si trascinò fino alle guerre servili, la Res Publica riuscì a piegare la resistenza di quelle fiere tribù montane. Si narra che Ponzio Pilato, uno dei politici più famosi di Roma, fosse proprio di origini sannite. Cosa resta, tuttavia, oggi, dell’antica presenza di quel popolo nella Terra Felix? Statue, tombe, qualche manufatto. Ma le città che pure quelle tribù fondarono, conservano ben poco dell’originario disegno. Prendiamo ad esempio Telesia, l’attuale San Salvatore Telesino. I resti di alcune fortificazioni ancora oggi visibili sul monte Acero sono quello che resta del vecchio insediamento trasformato dai romani in una delle più floride colonie dell’Urbe. [charme-gallery]E Caudium, l’attuale Montesarchio? In questa zona sono stati rinvenuti vasi e suppellettili che risalgono al VII a.C. custoditi, insieme ai reperti di Telesia nel Museo del Sannio di Benevento e nel Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino di Montesarchio. Ebbene, sembra che Caudium fu letteralmente rasa al suolo dai legionari che vollero, in questo modo vendicarsi dello smacco subito alle Forche Caudine.

E che dire di Benevento, capitale della lega sannitica? Fondata dagli Oscii, conquistata e ribattezzata Maloenton dai Sanniti, di questo periodo la città offre ceramiche e bronzi custoditi nel locale Museo. Presa dai romani, Maloentum vide mutare il suo nome nel latino Malaventum e poi ancora nel più benaugurante Beneventum in seguito alla vittoria riportata dalle legioni sulle truppe del re macedone Pirro. Elevata al rango di municipium, Beneventum divenne una delle più ricche città dell’impero, capace di rivaleggiare, con i suoi guerrieri indomabili e orgogliosi, addirittura con Capua e Roma per la bellezza dei suoi monumenti e delle sue opere pubbliche. Romanizzata, insomma. Dalla prima all’ultima pietra.

Fin qui il mito del Sannio. Sì, perché la storia della Campania parla anche degli anni in cui anche Etruschi e Lucani provavano a stabilire qui le basi della loro potenza. Gli Etruschi, innanzitutto. Stirpe sulle cui origini si posa un velo di leggenda. La loro presenza nella Terra Felix risale al primo millennio a.C. e coincide con il periodo di massima fioritura dei centri dell’Etruria Meridionale. Le prime città etrusche fondate in Campania, quelle più significative almeno, furono Capua (il nome Campania deriverebbe proprio da Capuania) e Pontecagnano. Ma in realtà anche Pompei, Nola, Atella, Nocera, Salerno, Fratte, Ercolano e Vico Equense dovettero molto all’influenza di quel popolo. Soprattutto Capua, centro di notevole potenza commerciale, testimonia l’alto livello di civiltà raggiunto dagli Etruschi nei loro nuovi domini, così come confermano i numerosi esemplari di vasi di bronzo e statue di pregevole fattura rinvenute un po’ in tutte le necropoli dell’Etruria.[charme-gallery]
Alcuni di quei reperti, tra cui un bellissimo piatto con raffigurazioni di pesci e una scultura di Mater Matuta, sono oggi custoditi nel Museo provinciale di Capua, nello storico palazzo Antignano.

La potenza etrusca declinò nel VI secolo a.C. in concomitanza con l’ascesa militare dei Sanniti e la rinnovata potenza militare dei greci di Cuma, capaci di sconfiggere ripetutamente le loro flotte nel bacino del Tirreno, fino a provocarne la definitiva caduta.

E ora passiamo ai Lucani, popolo di stirpe italica che pure ha dato il suo contributo alla colonizzazione di una parte del Cilento e del Vallo di Diano e soprattutto della Basilicata. Dalle tribù lucane degli Atenati e dei Potentini sorsero le cittadine di Potenza e Atena Lucana (Salerno). Genti di quelle difficili da trattare, i Lucani ebbero sempre rapporti difficili con le colonie greche, a tal punto che le relazioni tra i due popoli furono quasi sempre giocate sul filo della spada. Non a caso una delle più belle cittadine della Magna Grecia in Campania, Posidonia, finì sotto la dominazione lucana e fu da loro ribattezzata “Paistom” (la Paestum romana).

Dopo Posidonia, un po’ tutte le polis della costa tirrenica finirono sotto la dominazione lucana, fatta eccezione per Velia, l’unica in grado di resistere alla forza guerriera di una tribù capace di estendere la propria forza fino alla Calabria. Come i Sanniti, di cui pure furono alleati, anche i Lucani finirono per scontrarsi con Roma, pagando a caro prezzo il tentativo di resistere all’Urbe. In seguito alla loro disfatta, così come narra lo storico Strabone, tutti “i loro insediamenti sono assolutamente insignificanti, senza alcuna organizzazione politica e i loro usi, in fatto di lingua armamenti e vestiario, completamente tramontati”. Insomma, come gli altri popoli che li precedettero, anche le vicende dei Lucani, la loro arte, le loro vestigia, vennero a confondersi con quelle dell’Italia romana. Ma non scomparvero. Furono solo custodite dalla polvere dei secoli. E poi riportate alla luce negli anni ’50 del secolo scorso, grazie a un’accurata campagna di scavi avviata dalla Provincia di Salerno nelle necropoli di Sala Consilina e di Padula e nell’intera area del Vallo di Diano. Un ricco patrimonio archeologico attualmente custodito nel Museo Archeologico Provinciale della Lucania Occidentale, ubicato nella Certosa di Padula. Qualcosa come oltre 600 reperti selezionati tra i circa ventimila venuti alla luce: tombe dell’età del ferro, monete, fibule, uno splendido anello d’argento con Eros inciso, un kantharos di provenienza balcanica, pezzi pavimentali di un mosaico, colonne, capitelli e statue, stele sepolcrali e sarcofagi del Vallo di Diano. Testimonianze preziose di una storia ricca di sedici secoli.