Descrivere con un solo aggettivo la bellezza del patrimonio artistico e culturale della Campania? Una missione impossibile, visto il numero e la varietà di monumenti e siti storici che fanno della Terra Felix una delle mete più visitate (ed apprezzate) al mondo.
Spesso, però, la tutela che andrebbe riservata a tali preziose testimonianze del genio umano non trova un’adeguata gestione. Succede anche a Sud del Garigliano. E in particolare nell’area di un antico sito archeologico scoperto in provincia di Avellino. Si tratta dell’Aequum Tuticum, un vicus romano identificato tra i resti riportati alla luce dai ricercatori a un tiro di schioppo dal fiume Miscano nel Comune di Ariano Irpino.
Con il termine di “vicus” gli antichi romani erano soliti identificare un agglomerato di case e terreni, sia di tipo urbano che rurale: una sorta di sottovillaggio non indipendente, dal punto di vista amministrativo, ma legato ad una municipalità che, nel caso dell’Aequum Tuticum era la non distante Beneventum.
Nel caso dello scavo arianese, si sa che sorgeva in uno snodo viario piuttosto importante per l’epoca, visto che era proprio da lì che si irradiavano strade frequentatissime come la via Traiana, la via Herculea e la via Aurelia Aeclanensis che collegavano da nord a sud il Sannio con la Campania, e da est ad ovest il versante tirrenico con quello adriatico. Dell’Aequum Tuticum, tra l’altro, parla anche Cicerone che in una lettera indirizzata all’amico Attico descrive quel borgo come una delle soste obbligate verso l’Apulia.
I resti riportati alla luce dai ricercatori comprendono, insieme con un tratto della vecchia strada Traiana, due necropoli, un edificio termale risalente al I secolo d.C. e alcuni ambienti di tipo commerciali datati II secolo d.C. , messo a dura prova da un terremoto che, nella seconda metà del IV secolo arrecò non pochi danni all’insediamento, l’area del vicus si arricchì, successivamente di una villa dotata di una grande mosaico policromo: la struttura fu costruita direttamente sulle rovine degli edifici più antichi del borgo.Nel V secolo una villa, con un ambiente decorato da un vasto mosaico policromo si insediò al di sopra di edifici più antichi. In seguito, a partire dal VI secolo d.C., il vicus fu progressivamente abbandonato e rioccupato solo in età medioevale grazie all’insediamento urbano di San Eleuterio. Tuttavia, non tornò mai più agli splendori conosciuti ai tempi dell’Urbe.
Oggi di quello che un tempo fu uno degli snodi viari più importanti del Sannio, non restano che pochi reperti gravemente danneggiati.
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Ciò è dovuto tanto alla mancanza di manutenzione, quanto ai fenomeni atmosferici. E’ il caso, ad esempio, della violenta nevicata che colpì l’Irpinia due anni fa, provocando il crollo di alcune coperture provvisorie messe negli anni ’90 a protezione dello scavo.
Ma per fortuna non tutto è perduto! Qualche speranza, infatti, inizia a intravedersi grazie all’appello promosso sul web dal Living Lab Irpino, l’associazione curata dall’architetto Amalia Cancelliere, che si pone come obiettivo azioni di difesa e promozione del territorio a 360 gradi, cercando di sviluppare la capacità di attrarre investimenti sul territorio. Un vero e proprio appello lanciato attraverso lo strumento del web affinché ci si attivi per il recupero e la salvezza dello storico insediamento arianese. Un tentativo, quello messo in atto, che, stando ai primi responsi, sembra poter dare buoni frutti. Insomma: il popolo della rete non sembra mostrarsi sordo ai richiami del Living Lab e la strada imboccata pare essere quella giusta. L’Aequum Tuticum tornerà agli antichi splendori? E’ l’augurio di tutti. Appassionati e non.