Di conventi e monasteri è stracolma Napoli, residenza storica di monaci e cardinali, frati, preti e suore. Fu nella città di Partenope che nel 1294 Celestino V trasferì la sede papale, al seguito di re Carlo d’Angiò. E fu sempre nella perla del Golfo che vissero le loro vite apostoliche santi del calibro di Giuseppe Moscati e Alfonso Maria dei Liguori, oggi venerati e pregati dai fedeli di mezzo mondo. Nel corso dei secoli, nell’antica Capitale del Regno delle Due Sicilie i rappresentanti dell’Ordine Sacro hanno costituito uno degli elementi chiave dell’antica colonia greco romana. Una città che, non a caso, mercanti e naviganti individuavano per l’alto numero di guglie, campanili e cupole che si materializzavano, appena giunti in vista del porto.
Napoli e la fede vanno d’amore e d’accordo fin dai tempi in cui il Cristianesimo muoveva i primi passi. Lo dimostra l’amore e la devozione che i partenopei nutrono da sempre per il loro patrono Gennaro, vescovo di Benevento martirizzato dai romani a Pozzuoli nel settembre del 305. Non è certo un caso, d’altronde, se proprio a Napoli, nell’VIII secolo, si rifugiarono le monache di San Basilio, in fuga dalla guerra iconoclasta di Costantinopoli. E che sempre qui sia cresciuto il “senso” e l’artigianato del presepe, autentico simbolo della Natività di Gesù “made in Vesuvio” ai quattro angoli del globo.[charme-gallery]
Napoli e il sacro si perpetuano nelle centinaia di chiostri e templi cristiani fatti edificare da re, principi e ordini monastici per conferire lustro e sostanza al culto del Signore, ma anche per abbellire l’antica Neapolis e offrire ospitalità a viandanti e pellegrini. Monasteri conosciuti e sconosciuti, costellati di capolavori artistici e opere monumentali. Luoghi scelti dai servi e dalle serve di Dio per contemplare l’Onnipotente al riparo da occhi indiscreti. Punti di incontro tra la religione e il fedele, ma anche linea di confine tra la condizione di isolamento del clero e quella del mondo laico. Molti di questi luoghi, abbandonati i panni della clausura, sono oggi meta di turisti e fedeli attratti dal fascino di una città il cui Centro storico è patrimonio mondiale dell’Unesco, proprio per la ricchezza e la rarità offerte dai suoi tesori architettonici. Uno fra tutti: quello il monastero di Santa Chiara, fonte ispirativa di una celebre canzone napoletana.
La trecentesca cittadella dei frati francescani troneggia tra via Spaccanapoli e piazza del Gesù, con le sue tombe illustri e i celebri mausolei a baldacchino riservati al riposo eterno dei sovrani angioini. E’ qui, sotto il peso delle imponenti navate di epoca gotica che ancora si possono ammirare i resti preziosi degli affreschi di Giotto e le straordinarie sculture che adornano le cappelle gentilizie della nobiltà napoletana. Fiore all’occhiello del complesso religioso dedicato al Santo di Assisi è tuttavia il chiostro maiolicato del XVIII secolo, un complesso di tre cortili (il chiostro delle Clarisse, quello dei Frati Minori e il chiostro di Servizio), trasposizione terrena dell’Eden celeste, che brillano per la sfavillante galleria di “riggiole” maiolicate opera dello scultore Domenico Antonio Vaccaro, in cui sono raffigurate scene campestre e paesaggi agresti. Le maioliche adornano pareti, colonnati e panchine del giardino terrestre, in un vero e proprio trionfo di colori. Al chiostro si accede dall’ingresso al Museo dell’Opera dove si trovala Sala Archeologica in cui sono raccolti i numerosi reperti archeologici rinvenuti nel corso degli scavi.
Il monastero di Santa Chiara è senz’altro una delle chiese più famose e visitate di tutta Napoli. Non così il monastero delle Trentatré, a un tiro di schioppo dal Policlinico Vecchio, struttura che solo di recente, in occasione del “Maggio dei Monumenti 2013”, ha aperto le porte ai visitatori (sia pure per pochi giorni). Il complesso, infatti, così detto per il numero massimo di monache che poteva ospitare (il monastero, in realtà, è intitolato a Santa Maria in Gerusalemme), è attualmente abitato da una comunità composta da 13 suore clarisse cappuccine, che oggi, come quattrocento anni fa, comunicano con l’esterno grazie a una ruota che risale al tempo in cui l’edificio religioso vide la luce, grazie all’iniziativa della nobildonna catalana Maria Longo (è a lei che si deve anche la costruzione dell’Ospedale degli Incurabili).[charme-gallery]
Del monastero delle Trentatrè colpiscono gli affreschi di Santa Chiara e Sant’Antonio conla Vergine;la Cenadi Emmaus di Giuseppe Bonito ela Presentazionedi Gesù al Tempio di Teodoro d’Errico. Ma straordinari sono anche l’annessa chiesa seicentesca progettata dall’architetto Giovan Giacomo di Conforto, con il suo altare in legno di noce ricco di intagli dorati, l’ex refettorio monastico. E il monumentale Chiostro delle Trentatré, ubicato tra via Anticaglia e via Pisanelli.
Anche l’eremo costruito sulla collina dei Camaldoli è un monastero, vale a dire un edificio abitato da una comunità di ecclesiasti. Dedicato al culto del SS. Salvatore, il complesso fu innalzato a partire dal 1585 su uno dei colli più suggestivi di Napoli da cui si può godere un panorama bellissimo sul mare del Golfo e sui borghi senza tempo della Penisola Sorrentina.
Per 400 anni, prima di passare alle suore brigidine, l’eremo, progettato dall’architetto Domenico Fontana, è stato abitato dai monaci Camaldolesi, ordine fondato dall’asceta San Romualdo. L’edificio rispecchia i canoni tipici dell’architettura cinquecentesca del tardo rinascimento campano. Al suo interno sono ospitati dipinti e affreschi di pittori del XVII secolo come Luca Giordano, Massimo Stanzione, Andrea Mozzilli e Federico Barocci.
Oltre all’antica foresteria, con le sue ampie camere affacciate sul Belvedere e al bel chiostro ricco di una folta vegetazione, l’eremo è in grado di offrire ospitalità e riposo ai pellegrini grazie alle celle ed agli orti dei monaci, interamente restaurati e capaci di offrire, a chi lo desidera, un clima di pace e serenità.
[charme-gallery]Trasuda storia da tutti i pori anche un altro celebre monastero di Partenope: quello dedicato a San Gregorio Armeno, la strada del Centro storico che pullula di artigiani del presepe. L’edificio sorge nel cuore dei Decumani, facendo ombra, con il suo caratteristico campanile, alle decine e decine di botteghe affacciate sulla strada dei presepi. La chiesa è nota anche con il nome di Santa Patrizia per la presenza delle spoglie della religiosa all’interno dell’edificio. Il monastero delle Suore Crocifisse si trova proprio all’uscita della chiesa in cui riposa Santa Patrizia. E si contraddistingue per la presenza di un celebre cortile, tra i più belli e suggestivi di tutta la città, sul quale si affacciano i terrazzamenti delle stanze delle monache. Al centro del chiostro svetta una grande fontana marmorea barocca, affiancata da due statue che raffigurano Cristo e la Samaritana, opera settecentesca di Matteo Bottiglieri. Secondo la tradizione, l’intero complesso fu fondato nell’VIII secolo, sui resti dell’antico tempio di Cerere, da un gruppo di suore basiliane che fuggivano da Costantinopoli a causa delle guerre in atto fra iconoclasti ed iconodulici. Fu sede di clausura a partire dal 1563, subito dopo il Concilio di Trento.
Un altro luogo di culto “made in Naples” si erge in via Arco Mirelli: si tratta del complesso di San Francesco degli Scarioni, edificato agli inizi del XVIII secolo grazie all’iniziativa di un ricco mercante di origini toscane Leonardo Scarioni da poco trasferitosi nella città di Virgilio. Rimasto senza eredi, Scarioni decise di devolvere tutti i suoi beni nella costruzione di un convento destinato ad accogliere sessanta monache, molte delle quali provenienti dalla sua città natale, Prato. Il palazzotto, inaugurato nel 1721, offre oggi allo sguardo del visitatore una chiara impronta di stampo barocco evidente fin dalla facciata su cui si insiste una statua lignea di San Francesco. Autentico pezzo pregiato della chiesa, è però il pregevole organo settecentesco, opera di artista ignoto, dai cui tasti, oggi come un tempo, promana la più celestiale e divina delle armonie.