E’ un ticchettare frenetico. Talvolta più ovattato. Talaltra fragoroso. Il ritmo, quello, resta costante. E’ l’eco del passeggio fermo e veloce di pendolari dalle calzature strette, incerto e afono di studenti dalle scarpe dalla pianta in gomma, elegante (ma in ritardo) di segretarie affaccendate e gioviali dal tacchetto lesto e loquace. Musicanti che vanno di gran lena. Gente che di buon mattino, di pomeriggio tardo, ma anche nel mezzo, prende parte alla composizione del popolo del metrò. E che non stona mai, neppure quando sfila via tra pareti di tunnel che, a ragione, rammentano luoghi di culto e cultura. Fortunati loro, pendolari, studenti, segretarie gioviali e chissà chi altri, fruitori quotidiani e a basso costo delle “stazioni dell’arte”. Sette mostre, sette avveniristiche rassegne. Sette soste per i viaggi brevi. Stazioni. Gallerie d’arte con musica da corredo resa dai passi di utenti che avanzano in tutta fretta per rallentare il tempo. Semplicemente, sette terminal di un percorso della Metropolitana napoletana che chiamiamo “linea 1”. Dal cuore pulsante della città, s’inerpica in su, fino alla collina. Già, perché la chiamano anche così: metropolitana collinare. [charme-gallery]Che di stazioni ne ha tante, ma di quelle che san farsi ammirare ne ha sette. Fin dal basso. Fin dalla più colorita delle piazze: Dante. Ridisegnato dall’architetto Gae Aulenti, lo slargo che sovrasta il metrò parrebbe privo di vesti, se non fosse continuamente percorso da un mondo che passeggia o va lesto. O che qui si ferma per meditare o far baccano. E’ tempo di calarsi nel terminal, passare in rassegna i corridoi che danno ai convogli, mirando gli olii di Carlo Alfano, il mosaico a firma di Nicola de Maria, la metafora di Kounellis, i disegni su specchio del Pistoletto e rileggendo quei passi della Divina Commedia che echeggiano alla luce dei neon, opera di Joseph Kosuth. Ed ecco lo stridore. Il fischio. Le porte si aprono per richiudersi. I convogli s’incamminano. Il viaggio continua. Stazione Museo, area piazza Cavour. Il terminale esprime semplicità. Dunque, eleganza. C’è il museo, lassù. E sotto, a richiamare l’aurea di cultura che deve respirarsi, c’è una riproduzione dell’Ercole Farnese e l’originale della testa Carafa. Lungo il corridoio, l’esposizione permanente dei reperti archeologici trovati nei cantieri del metrò. [charme-gallery]Lo spettacolo dell’antichità sposa la meraviglia dell’era moderna. E poi le foto, scatti con in calce nomi di appassionati napoletani che immortalano pezzi di storia non così lontana. V’è, a citarne una, l’immagine degli effetti del terremoto del 1980. Fine. In carrozza, si sarebbe detto. E via. Passando per Materdei e giungere, ma non ultima, alla fermata Salvator Rosa. E’ il fiore all’occhiello della “linea”. L’architettura è moderna. L’ingresso a monte è contornato da marmi, sovrastato da un alto pinnacolo. Ha vetri colorati nelle finestre ad arco. C’è del verde, nell’area circostante, dove all’interno, restituiti a nuova luce, giacciono i resti di un ponte romano e di una cappella ottocentesca, ulteriore vetrina di mosaici e sculture. Il parco giochi ha forme di Mimmo e Salvatore Paladino, sculture di Barisani, Dalisi, Longobardi, Mocika e Perez, mosaici di Ugo Marano. Poi lo stridere. Il fragore della compressione delle porte. Di uovo in fuga. Direzione Vanvitelli. Ad entrarci dalla strada, vi si accede transitando per un ampio scalone dove una spirale luminosa si apre progressivamente. [charme-gallery]Si rappresentano le geometrie legate alla sequenza di Fibonacci. Idea e opera sono di Mario Merz. Giunti al bivio, laddove la scelta è per la direzione Dante o per quella di Piscinola, si erge un muro con su impresse figure fantastiche e fantasiose di animali preistorici. Appena prima dei treni, due grandi mosaici colorati di Isabelle Ducroit. Valicati i tornelli, poi, imboccando l’uscita, foto anche qui. Sono quelle di Gabriele Basilico e Olivio Barbieri. Ma si era ai treni. Che corrono. E che giungono al terminal Quattro Giornate (al secolo Cilea). Ecco l’idea: farne un museo d’arte moderna. Ecco l’intento: celebrare le Quattro Giornate di Napoli, appunto. Opere e immagini sono di Nino Longobardi, Umberto Manzo, Anna Sargenti, Baldo Diodato, Maurizio Cannavacciuolo, Betty Bee. Domina una tonalità di verde. Sale, il convoglio. S’inerpica. Rione Alto, emblema della modernità. E’ tutto impresso sulle pareti d’un corridoio che sale per 120 metri di lieve pendenza: pannelli policromi, immagini evocative, sequenze di volti interpretati dalla sensibilità degli artisti. Fuori, una statua di bronzo e una fontana con un mosaico. Finisce qui il viaggio dei fortunati dalle calzature rumorose o silenti. Che passeggiano frenetici. Ma che talvolta fanno una sosta per rimirare arte moderna.