Miti di roccia nel mare di Ulisse (parte prima)

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Isola di Nisida

Isolotti, scogli e promontori svettano nel mare di Ulisse, impreziosendone anse e specchi d’acqua. Li Galli a Sorrento, il Vervece a Massa Lubrense, i “due fratelli” a Vietri, Capo d’Orso a Maiori. Sono pezzi di terra strappati alle onde e da esse disegnati nel tempo. Utilizzati, più di duemila anni fa, dai coloni della Magna Grecia come trampolino di lancio per i futuri insediamenti sulla terraferma o come punti di avvistamento e segnalazione luminosa per i loro agili scafi. Elencarli tutti è impossibile: ogni insenatura, ogni spicchio di terra campana, da Sapri alla foce del Garigliano, può vantarne qualcuno. E tutti sono più o meno noti. Segnalati, magari, sulle mappe del turismo internazionale. Occorre fare delle scelte, dunque. Puntare su quelli più famosi. Attorno ai quali sono sorte storie e leggende che ancora si tramandano di padre in figlio.

E’ questo il caso dello Scoglio di Rovigliano a Torre Annunziata, sul versante meridionale del Golfo di Napoli, a poche centinaia di metri del litorale oplontino-stabiese. A un tiro di schioppo dalla foce del Sarno. Conosciuto nell’antichità con il nome di Petra Herculis, in memoria di un antico tempio dedicato al dio Ercole, l’isolotto, su cui svettano ancora i resti di una fortezza cinquecentesca, sembra derivare il proprio nome da quello di una antica famiglia romana: la gens Rubilia (ma c’è anche chi lo associa a un tipo di pianta leguminosa detta in latino robilia). C’è una vecchia leggenda legata a questo pezzo di roccia eroso dalle onde, che merita di essere riportata. E reca la firma di un tale Fra Simone che ne parla in un documento, il Cronicon Casinense, risalente al IX secolo. Una storia che porta ai tempi in cui i Longobardi dominavano il Sud Italia. [charme-gallery]Simone scrive che un pugno di soldati, nel tentativo estremo di resistere a una violenta incursione saracena, si asserragliò sull’isolotto di Rovigliano. A guidarli, nella disperata battaglia, fu il conte Orso, insieme con la moglie, donna Fulgida, e il figlio Miroaldo. Alla fine i mori, che erano molto più numerosi dei difensori, ebbero la meglio. La maggior parte dei Longobardi fu sterminata. I pochi che sopravvissero, tra i quali il piccolo Miroaldo, furono portati via come schiavi. Il conte, ferito a morte, fu impiccato e donna Fulgida, che aveva tentato di fargli scudo col proprio corpo, fu trafitta da una lancia e lasciata moribonda sullo scoglio. Quando la sventurata riprese i sensi si trovò da sola, in mezzo ai corpi dei morti. Alzando gli occhi al cielo, vide penzolare sull’estremo ciglio di una roccia il cadavere dello sposo. La cronaca di Fra Simone conclude così il suo racconto: “Ogni notte lo spirito di donna Fulgida si vaga su per gli scogli di Rovigliano, invocando il suo sposo Orso ed il figliolo Miroaldo, mentre nugoli di uccelli marini l’accompagnano volandole intorno con i loro luttuosi beceri”. [charme-gallery]Altrettanto affascinante è la storia che circonda un altro celebre isolotto del mare di Partenope, collegato oggi alla terraferma con un lungo pontile: quello di Nisida, dal greco Nesís (isola) ma anche Nesida (piccola isola). Si narra, infatti, che nel I secolo a.C. questo pezzo di terra bagnato dal mare ed oggi parte integrante del Comune di Napoli (è sede di un penitenziario minorile), sia stato testimone di un crudele suicidio: quello di Porzia, la coraggiosa figlia di Catone l’Uticense, nonché moglie di Marco Giunio Bruto, uno degli assassini di Giulio Cesare. Dopo la sconfitta (e la morte) del marito nella battaglia di Filippi, la donna decise di togliersi la vita “in tal modo – scrive lo storico romano Valerio Massimo – da meritare l’attenzione di tutti i secoli futuri”. Si suicidò ingoiando carboni ardenti poiché nessuno aveva voluto darle un pugnale per trafiggersi. Pare che il drammatico epilogo andasse in scena nella Villa di Bruto che era stata costruita proprio sulle balze della “piccola isola”. (seguirà parte seconda)