Un viaggio nel tempo attraverso venticinque secoli di storia, di arte e di cultura. Partenza dalla Napoli odierna, arrivo nella Napoli greco-romana e ritorno. Sembra il soggetto di un libro di Asimov o di un film della premiata coppia Spielberg-Zemeckis, artefici della fortunata trilogia Ritorno al futuro. Ma non lo è. Qui la fantascienza non c’entra. Il sogno che l’uomo insegue almeno da quando H. G. Wells pubblico nel 1895 “La macchina del tempo”, prima storia sul viaggio nel tempo, a Napoli è realtà. Basta avventurarsi lungo il Decumano Superiore per rivivere le atmosfere e ammirare i resti di quattro epoche: greco-romana, medioevale, rinascimentale e barocca. Il Decumano Superiore è il tracciato che segnava il confine settentrionale del Centro Antico di Napoli. L’arteria si snoda attraverso via della Sapienza, largo Regina Coeli, via Anticaglia, via Donnaregina e via Santi Apostoli. Un percorso di grande interesse per l’abbondante presenza di testimonianze di un illustre passato. Il nostro viaggio nel tempo inizia a largo Regina Coeli. Qui svetta il complesso di Santa Maria Regina Coeli, esempio di arte rinascimentale e barocca. Chiesa e convento annesso furono modificati nel 1590. La paternità dei lavori è attribuita, da alcuni, a Giovan Vincenzo della Monica e, da altri, a Giovanni Francesco di Palma. È certo, invece, l’intervento di Francesco Antonio Picchiatti. Al complesso si accede attraverso una doppia rampa di scale con affreschi di un ignoto fiammingo. La facciata è ancora cinquecentesca mentre navata e cappelle presentano decorazioni del XVIII secolo. Di grande effetto è il soffitto ligneo del XVII secolo disegnato da Pietro De Marino, che racchiude tele di Stanzione. [charme-gallery]Spiccano, inoltre, opere di Luca Giordano, Micco Spadaro e Gian Battista Beniaschi. Ma altri famosi pittori hanno lasciato le loro tracce: da Pietro Bardellino, a Lorenzo Vaccaro e a Filippo Vitale. La macchina del tempo si rimette in moto e ci catapulta in epoca greco-romana. Siamo in via Anticaglia, il cui nome deriva dalla presenza di vestigia delle antiche murature in laterizio di un edificio romano che univa il teatro scoperto ai bagni. Il teatro, in cui pare abbia recitato anche l’imperatore Nerone, è ancora visibile negli archi di sostegno in laterizio sotto i quali passa l’odierna strada. La cavea è, invece, parzialmente conservata nel giardino di un palazzo in via San Paolo.
Proseguendo è d’obbligo la tappa a largo Santi Apostoli, dove si erge l’omonima chiesa. Oggi appare in stile barocco ma, secondo la tradizione, fu fondata nel 468 dal vescovo Sotero, sembra sulle rovine di un tempio romano preesistente dedicato a Mercurio. Durante la gestione dei padri Teatini, nel 1609, l’edificio fu sottoposto a ristrutturazione. Il progetto fu affidato a Francesco Grimaldi. Alla chiesa (a croce latina con navata unica) si accede mediante una scalinata in piperno. Controfacciata e interno furono decorate da Giovanni Lanfranco. Nel 1693 una serie di affreschi di Francesco Solimena sostituirono precedenti affreschi di Giacomo del Po. La cupola, del 1680, è di Dionisio Lazzari. Mentre le cappelle laterali custodiscono dipinti di Nicola Malinconico, Domenico Frasella, Paolo De Matteis, Francesco De Mura e Agostino Beltrano. Nel transetto destro si staglia il monumentale cappellone dell’Immacolata, disegnato da Ferdinando Sanfelice nel 1713, con l’unica opera napoletana di Francesco Borromini, l’altare Filomarino, in marmo bianco. La sacrestia in stile barocco dei Santi Apostoli può essere ritenuta come una delle più belle delle chiese napoletane.