Le antiche radici della lavorazione dell’oro rosso

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Talismano dei talismani, albero del sangue simbolo di forza generatrice, sangue esorcizzante della Medusa e, al contempo, salvifico del Cristo. Elemento da sempre in bilico tra i tre regni – non minerale anche se pietrificato, non vegetale anche se ramificato, non animale anche se del colore del sangue – il corallo ha sempre dato vita a miti e credenze indirizzati tutti ad esaltare le sue doti di protettore dal male e dalle sventure e di portatore di fortuna e benessere, vitalità ed abbondanza. La tradizione della lavorazione del corallo in Campania ha radici molto antiche ed il suo quartier generale a Torre del Greco dove, per secoli, il corallo pescato nel Mare Nostrum veniva lavorato per poi essere venduto sui banchi del mercato. Ma la Campania non è l’unica regione a poter vantare una ricca tradizione artigianale nel campo dell’oro rosso. E così, dal 1996 la Banca di Credito Popolare ha dato vita ad una serie di mostre tematiche dedicate al corallo, che indagano su metamorfosi ed evoluzioni della lavorazione di questo dono del mare in luoghi ed epoche diversi. Dal 20 dicembre a Palazzo Vallelonga, prestigiosa sede della Banca di Credito Popolare, “Mirabilia Corallii. Capolavori barocchi in corallo tra maestranze ebraiche e trapanesi dal ‘400 al ‘700” esporrà oltre 60 opere, da collezioni pubbliche e private, che documentano la fioritura dell’artigianato artistico in Sicilia tra il XV e il XVIII secolo e le reciproche influenze delle maestranze ebraiche e locali, trapanesi in particolare, sulla lavorazione del corallo. [charme-gallery]Terra di confine tra il mondo occidentale e quello arabo, la Sicilia fu l’isola che più subì le influenze bizantine, ma al contempo quella che più riuscì ad occidentalizzare l’oriente. Qui, la fiorente comunità ebraica giocò sempre un ruolo fondamentale nello sviluppo del territorio, non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale, artistico e culturale. Non poteva mancare la sua influenza anche in campo manifatturiero. Infatti, la lavorazione del corallo era appannaggio della comunità ebraica che vantava un ampio numero di abilissimi artigiani, che si tramandavano il sapere di padre in figlio. La svolta giunse quando, nel 1492, Ferdinando e Isabella d’Aragona decisero di bandire gli ebrei dall’isola, bloccando le attività legate alla pesca e alla lavorazione del corallo. Molti ebrei optarono per la conversione al cattolicesimo e riuscirono a mantenere il proprio nome e la propria bottega. Altri, invece, partirono per lidi diversi ed in parte giunsero a Napoli, dove crearono i propri fondaci a San Giorgio a Cremano e a Torre del Greco, dove inevitabilmente vennero a contatto con la tradizione locale del corallo. Arredi sacri, gioielli e oggetti di uso comune, oltre ad capezzali, acquasantiere, paliotti d’altare e trionfi allegorici che risplendono del colore del sangue, saranno in mostra a Torre del Greco fino al 1° febbraio per incantare i visitatori per la bellezza propria dell’oro rosso e per la grande maestria degli artigiani che per secoli si sono dedicati ad esaltare questo preziosissimo dono del mare,