Miracolo di San Gennaro, Napoli si prepara per la festa

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Un santo, una città. Se Napoli è famosa in ogni angolo del globo, non lo deve solo alla pizza e al Vesuvio, autentici simboli della “napoletanità” diffusi in tutto il mondo, ma anche al culto che da secoli lega la città di Virgilio al suo famoso Patrono, San Gennaro, di cui domani (19 settembre) ricorre la festività. L’atteso “evento” della liquefazione del sangue che da secoli contraddistingue la ricorrenza, sarà trasmesso in diretta, dalle navate del Duomo di Napoli, dalle emittenti tv TeleCapri e Canale 21 (a partire dalle 8) e, per la prima volta, anche in streaming, attraverso il sito www.sangennaro.eu, con collegamenti fino in Australia, America del Nord, Canada, Sud Africa e America Latina.

Com’è noto, all’intercessione di San Gennaro si sono affidate intere generazioni di partenopei, invocando la salvezza dalla fame, dalla peste e dai terremoti che hanno scosso l’antica capitale, come accadde il 16 dicembre del 1631 quando una terribile eruzione del Vesuvio risparmiò la perla del Golfo solo dopo una processione organizzata in onore del Santo.

San Gennaro è venerato come il protettore degli orafi e dei donatori di sangue, ma è anche un punto di riferimento per credenze popolari molto radicate a Napoli, in un mix che intreccia sacro e profano. Fino a sfociare nell’arte antica e superstiziosa della cabala, da sempre cara al popolo di Partenope, per interpretare i sogni e giocare numeri al lotto. Possibilmente “suggeriti” e interpretati proprio dal Patrono.[charme-gallery]

In realtà il protettore di Neapolis si chiamava ProcoloIanuario era il suo cognome. Gennaro discendeva, infatti, da una nobile famiglia romana appartenente alla Gens Januaria sacra, cioè, al dio Giano, celebre divinità pagana rappresentata con la doppia fronte. Il suo nome, dunque, sarebbe la trasformazione “napoletana” del cognome Ianuario.

Secondo la tradizione, Gennaro venne alla luce a Benevento, dove da tempo la pietà popolare ha individuato, in alcuni ruderi di epoca romana, la sua casa natale, intorno al 272 d.C., ma non mancano quanti ancora oggi lo vorrebbero nato in un piccolo paesino calabrese del monte Poro: Caroniti, frazione di Joppolo. Nonostante le origini pagane, il giovane Procolo si convertì ben presto alla fede cristiana diventando Vescovo di Benevento.[charme-gallery]

La vicenda che lo vide coinvolto, e che lo portò alla consacrazione, si verificò nei primi anni del IV secolo, in piena persecuzione cristiana da parte dell’imperatore Diocleziano. Secondo la tradizione, Gennaro decise di recarsi a Pozzuoli, insieme al lettore Desiderio e al diacono Festo, per fare visita ai fedeli di quella città. Da Miseno si mosse per venirgli incontro il diacono Sossio, suo amico. L’uomo però fu bloccato in strada dagli sgherri del governatore della Campania, Dragonzio, e rinchiuso in carcere. Gennaro, spalleggiato da Festo e Desiderio, non si perse d’animo e, una volta raggiunta Pozzuoli, si recò in visita al prigioniero. Il Vescovo fece di tutto per liberare l’amico ma, avendo fatto anche lui, come Sossio, professione di fede cristiana, si ritrovò con i ceppi ai piedi, insieme ai compagni di missione: condannati ad bestias, ad essere, cioè, sbranati dai leoni nell’anfiteatro Flavio di Pozzuoli.

Il giorno dopo, la sentenza non fu eseguita. E qui le fonti si dividono. A voler dar retta alla tradizione, si racconta che i leoni, al cospetto dei condannati, dopo una benedizione di Gennaro, si inginocchiarono ai loro piedi rifiutando così di mangiarli. Ma secondo un’altra fonte fu lo stesso Dragonzio, resosi conto che il popolo dimostrava simpatia per i condannati, a far sospendere il supplizio per evitare disordini. La condanna non fu annullata, ma solo commutata. E dalle belve si passò alla scure.
Il 19 settembre del 305 d.C. il vescovo Ianuario ed i suoi amici furono decapitati nei pressi della Solfatara. Si racconta che mentre Gennaro si avviava al patibolo, un mendicante gli chiese un pezzo della veste, da conservare come reliquia. “Prenditi il fazzoletto con il quale sarò bendato” rispose Gennaro a quell’uomo.

La tradizione vuole che la scure, oltre alla testa, gli portò via anche un dito della mano perché, nell’atto in cui il carnefice si preparava a vibrare il colpo, Gennaro si stava sistemando il fazzoletto alla gola. Quella notte stessa, il martire apparve in sogno all’uomo che era stato incaricato di portare via il suo cadavere e lo invitò a raccogliere anche il dito.[charme-gallery]

Negli atti vaticani il martirio di Pozzuoli viene riferito in maniera differente. Si narra, infatti, che Gennaro e i suoi compagni erano diretti a Nola e qui si imbatterono nel giudice Timoteo che lo imprigionò e lo torturò. Gennaro, si racconta, uscì indenne dal feroce trattamento e allora Timoteo lo gettò in una fornace ardente, ma anche questa volta il suo tentativo di farla finita con il vescovo di Benevento non sortì alcun risultato. Ianuario, infatti, uscì illeso dal forno e senza neppure una bruciatura sulle vesti. Le fiamme, all’opposto, una volta aperta la fornace, investirono i pagani che erano venuti per assistere al supplizio.

Un’altra versione riferisce che fu lo stesso Timoteo, per nulla grato a Gennaro che pure lo aveva guarito da una grave malattia, a spedirlo nell’anfiteatro di Pozzuoli affinché fosse sbranato dalle fiere. E quindi, successivamente, sul “ceppo” della Solfatara.
La tradizione riferisce che dopo il martirio del 305, una nobildonna di nome Eusebia, raccolse il sangue di Gennaro in due ampolle delle quali poi si perse ogni traccia. Ma un secolo più tardi, nel 431, in occasione della traslazione delle reliquie dal campo della gens Marcia di Pozzuoli, dove Gennaro era stato inizialmente seppellito, nelle catacombe di Capodimonte a Napoli, un’altra donna si presentò con le due ampolle affermando che erano proprio quelle che contenevano il sangue coagulato del martire. Come prova della veridicità del racconto, il sangue si sciolse all’improvviso sotto gli occhi dell’allora vescovo Giovanni e della folla che si era riunita per assistere alla cerimonia di traslazione.

Da allora il prodigio della liquefazione si ripete nel Duomo di Napoli costantemente ogni anno, il sabato precedente la prima domenica di maggio (in cui si ricorda la prima traslazione da Pozzuoli a Napoli); il 16 dicembre  (anniversario della terribile eruzione del Vesuvio arrestata, secondo la credenza dei napoletani, per intercessione del loro patrono), il 19 settembre (anniversario del martirio) e per tutta l’ottava delle celebrazioni in suo onore. E guai se il sangue non si scioglie! Per la credenza popolare, infatti, il non avvenuto miracolo preannunzia calamità e sciagure. Come ad esempio, l’eruzione stessa del 1631, o la rivolta di Masaniello nel 1647. Ed ancora: l’insurrezione popolare delle “Quattro giornate”, nel 1943. E il più recente il caso del mercoledì delle ceneri datato 28 febbraio 1979. Quel giorno l’allora Arcivescovo di Napoli, Cardinale Corrado Ursi fece esporre, in via del tutto eccezionale, le reliquie di San Gennaro e come per miracolo cessarono i casi di virosi respiratoria che in quel periodo aveva procurato diverse vittime tra i bambini. Il fenomeno della liquefazione, di cui si ha traccia, per la prima volta nel Chronicon Siculum, il 17 agosto del 1389, si ripete anche nella pietra porosa custodita nella chiesetta di Pozzuoli dove si ritiene che sette secoli fa sia avvenuta la decapitazione del vescovo di Benevento.