Miti di roccia nel mare di Ulisse (seconda parte)

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Gaiola dall'alto

(segue da prima parte).. Nel cosiddetto arcipelago flegreo, di cui Nisida è parte integrante, svetta un altro pezzo di roccia carico di storia: un isolotto a forma di “virgola”. Ciò che resta, in pratica, di un antico cratere vulcanico emerso dal mare circa quarantamila anni fa e oggi sede di un’importante riserva naturalistica. Stiamo parlando dell’isolotto di Vivara, dal latino vivarium (vivaio). Questo pezzo di roccia lussureggiante adagiato a pochi passi da Procida e dal litorale campano, merita più di una citazione perché rappresenta uno dei luoghi più antichi, in termini di insediamenti umani, della Campania Felix. Lo testimonierebbero i reperti archeologici che vi sono stati rinvenuti negli anni ’30 del XX secolo, datati tra la fine del XVIII e gli inizi del XVII secolo a.C., a conferma della presenza, a Vivara, di un ricco emporio commerciale e di un polo per la lavorazione di metalli e manufatti addirittura già nell’età del bronzo. [charme-gallery]Spostandoci verso Napoli e giungendo nel vicino specchio d’acqua di Posillipo, si incontra un altro “spicchio” di terra che pure merita attenzione per il mistero che lo avvolge: l’isolotto della Gajola (dal latino cavea: “piccola grotta”). Una leggenda popolare, tutt’ora in voga, lo considera alla stregua di un’isola “maledetta” per la morte prematura e la sventura che ha accomunato, nel corso degli anni, tutti i suoi proprietari. A partire dagli anni Venti del ’900, quando Hans Braun fu trovato privo di vita e avvolto in un tappeto (di lì a poco, la moglie affogò in mare) fino al patron della Fiat, Gianni Agnelli che, una volta messo piede su quell’isolotto, subì la morte di molti suoi familiari. Ne ha di storie da raccontare anche il promontorio di Capo d’Orso, così denominato per la sua forma che richiama la testa di un orso. Ci troviamo molto più a Sud rispetto a Napoli. [charme-gallery]A un chilometro di distanza, per la precisione, dalla frazione di Erchie, nel Comune di Maiori. Ebbene, secondo gli storici, fu in questo specchio d’acqua che nel 1528 si svolse una violenta battaglia navale tra la flotta francese e quella spagnola che vide soccombere gli iberici che qui persero anche il loro comandante. E fu sempre qui che, nella notte del 10 settembre 1806, una ventina di ex galeotti capitanati da Giuseppe Manzo detto “Giuseppiello” sbarcarono per poi raggiungere le vicine montagne dove diedero vita ad anni e anni di dura guerriglia contro le truppe dell’invasore francese in nome dei re Borbone (nel frattempo costretti all’esilio in Sicilia). A ciò si aggiunga la presenza, nel ventre del promontorio, di una grotta misteriosa in cui si possono ancora ammirare i resti di un antico affresco e quelli di una torretta circolare risalente al 1530, oggi in gran parte distrutta. (seguirà parte terza)