La città e il porto preistorico di Vivara rinascono in 3D

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Nel XVII secolo A.C., l’isolotto di Vivara, nel Golfo di Napoli, ospitava un articolato insediamento umano ed era uno dei porti di riferimento nella zona. E’ quanto emerge dagli studi sugli scavi archeologici iniziati nel lontano 1975 dall’archeologo Massimiliano Marazzi, oggi alla guida del Centro Euromediterraneo per i Beni Culturali dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, e che, grazie alle moderne tecnologie, hanno portato gli studiosi a poter ricostruire al computer in 3D la civiltà che si sviluppò sull’isolotto che all’epoca era ancora un promontorio attaccato all’isola di Procida. Una ricerca, quella di Marrazzi e del suo team, molto difficile: l’idea, infatti, era quella di riportare alla luce uno dei siti preistorici più interessanti del bacino del Mediterraneo ma che ha dovuto fare i conti con la subsidenza dell’isola che l’ha portata ad abbassarsi notevolmente: oggi molti degli insediamenti del passato si trovano infatti a 14 metri sotto il livello del mare. La svolta è arrivata con l’uso delle moderne tecniche di rilevazione subacquea tridimensionale, usati per la prima volta in Italia proprio a Napoli all’Università Suor Orsola Benincasa. Si è potuto così ricostruire l’intero insediamento capannicolo, che occupava all’origine tutta la superficie dell’isola e degradava in terrazzamenti articolati in scale, viottoli e grandi abitazioni a pianta rettangolare, giù fino al mare.

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“Su un pianoro naturale che domina la punta dell’Alaca – racconta Marazzi – sono venute alla luce le tracce più interessanti dell’abitato risalente al XVII secolo a.C. rappresentate dai resti di due grandi capanne (di circa 4 metri di larghezza e più di 8 metri di lunghezza) che hanno restituito gli arredi che accompagnavano la vita degli antichi vivaresi: decine di ciotole e grandi vasi per la conservazione di alimenti, le piastre fittili per cuocere, punte di freccia, lame e ceselli in pietra per la caccia e la lavorazione delle pelli, gli attrezzi per la filatura della lana”. Le nuove scoperte sono state portate a termine da Marrazzo e gli altri archeologi dell’Università Suor Orsola Benincasa, Germana Pecoraro, Loredana De Simone e Daniela Signoretti, con il pool di esperti di rilevazioni tecnologiche ed elaborazione dati coordinato da Leopoldo Repola e l’ausilio degli studenti dell’ateneo napoletano. Sono venute così alla luce anche le tracce degli scambi commerciali che rendevano Vivara uno dei porti più importanti dell’epoca: “Abbiamo scoperto – prosegue Marazzi – decine di frammenti di vasi torniti e decorati provenienti dalla Grecia micenea del XVII secolo a.C., l’epoca di quelle tombe a pozzo, ricche di ori e di armi, che furono scoperte alla fine dell’800 dall’archeologo dilettante tedesco Heinrich Schliemann. Desumiamo quindi che a Vivara giungeva dalle coste tirreniche centrali e forse anche dalla Sardegna quel minerale di rame che, assieme allo stagno, rappresentava il bene più importante per le civiltà dell’epoca, perché essenziale per la produzione di armi e strumenti in bronzo”. Le scoperte faranno parte di un nuovo spazio dell’area espositiva “Terra”, creato dal Suor Orsola in collaborazione con l’Università Federico II e il Comune di Procida. L’intero progetto sarà presentato a Procida il 7 settembre in occasione del convegno dedicato al tema “Il progetto Terra e le prospettive di ricerca e collaborazione mediterranea nel settore dei Beni e del Turismo Culturali”.