Eccolo giunto, il tempo. Non c’è presenza che lo manifesti, né squillar di trombe. E’ nell’aria che lo si scorge, è tutt’intorno. E’ nei sensi. Sì, i sensi, perché quasi lo si può toccare. Eccolo giunto, il tempo. E al bando misurazioni e tecniche avveniristiche. C’è dello zucchero a saturare l’etere, c’è quell’aroma che inebria, e intanto anticipa gli effluvi di mosto. Lo si annusa, lo si avverte, lo si tocca. E, solo, è già in grado di provocare l’estasi. Ecco il tempo per la vendemmia, stagione di riconciliazione tra uomo e natura.
E’ il tempo per gioire, per esaltare ed esaltarsi danzando sui chicchi. Non è mai stata una fatica, la vendemmia. E sì che necessita di vigore, che costa sudore, che strema e sfianca. Ma è un dolce sfinirsi. Ché nel pigiare e faticare, si dà tributo alla gioia. Campania felix, così era detta, terra di rigogliosa natura, di campi fertili e felici. S’annusa fin d’ora, da queste parti, l’aria zuccherina. Quasi ci s’annaspa nelle esalazioni che anticipano il mosto.[charme-gallery] E’ un’unica fragranza, che accompagna per mano lungo i vitigni che s’inerpicano fin sul Vesuvio, che passa per i Campi Flegrei, che imbocca la via che conduce ai Lattari, che svolta e fa inversione, fuggendo per le viti d’Irpinia e di Terra di Lavoro, che sosta sui campi del Sannio, che passeggia all’ombra delle viti del Cilento. Ovunque è tempo di vendemmia. Di festa e danze, di contadini che scorciano maniche di camicia e tirano su i calzoni fin sopra le ginocchia, e invitano gli ospiti e quanti amano la stagione dell’uva a fare altrettanto, per danzare sui chicchi e dar vita alla gioia. Si ride e canta, perché intanto si celebra la fertilità, l’opulenza, se corrisponde a verità quel vecchio adagio che “l’avvocato d’ogni tempo vendemmia”, ovvero macina denaro. Si ride e canta, nel mentre ci si tuffa nei grossi tini e, a piedi nudi, si pigia per la prima premitura. Cantando, danzando, ridendo, giammai avvertendo l’energia che cala, si contempla il torchio che ancora spreme.[charme-gallery] E finalmente s’avvertono gli effluvi del mosto che dal chicco sgorga. Passeranno mesi, prima che quel succo fermenti e lo si possa gustare. Tempo ancora per veder sgorgare Falanghina e Per ’e Palummo, Greco di Tufo e Lacryma Christi, Aglianico e Coda di Volpe. Così per l’Asprinio, il Fiano, il Taurasi, l’Eleusi e il Falerno del Massico. Tempo perché a quell’aroma annusato all’alba di ogni autunno, corrisponda un gusto ed un sapore, perché il ventre possa scaldarsi col nettare delle viti come solo il dio sole sa scaldare. Lo disse un tale chiamato Galileo Galilei, che il vino altro non è che “la luce del sole mescolata con l’umido della vite”.