Gli incappucciati assistevano i condannati a morte fino al patibolo. Mai visitabile dal grande pubblico, il tempietto barocco di Santa Maria Succurre Miseris è adornato da stupende opere di Giovanni Battista Benaschi e Paolo De Matteis. In mostra, una ceroplastica che riproduce gli effetti horror della sifilide.
“Veder non si può cappella né più bella né più adornata” scrive uno storico seicentesco dopo aver visto quadri e sculture lì conservate. Eppure è sempre stata chiusa al pubblico. Solo da pochi mesi è finalmente visitabile due sabati al mese a cura del Museo delle Arti Sanitarie. La Cappella della Confraternita dei Bianchi della Giustizia, gioiello nascosto inglobato nel complesso di Santa Maria del Popolo degli Incurabili, sede della Farmacia Storica e del Museo delle Arti Sanitarie, è un vero e proprio scrigno dell’arte e della storia di Napoli. Il luogo racconta la storia della Compagnia dei Bianchi della Giustizia che, incappucciati, hanno accompagnato e consolato migliaia di condannati a morte fino all’ultimo respiro, si dice oltre quattromila furono gli assistiti.
Fondata nel 1430 ad opera di Giacomo della Marca, che riunì persone di buon animo che suffragavano con messe ed elemosine le anime dei giustiziati, nel 1525, Papa Clemente VII ne approvò i capitoli e ne definì lo scopo: “Procurare la salute dell’anima di quelli che sono a morte condannati, et visitare i miserabili imprigionati e gli spedali de li ammalati, e quelli spetialmente di mali incurabili infermi”.
La Compagnia, dopo diverse sedi, nel 1534 si stabilì presso l’Ospedale degli Incurabili a Napoli. Qui i confratelli costruirono la cappella intitolata a Santa Maria Succurre Miseris. Il piccolo tempio, come detto mai aperto al pubblico se non a pochissimi privilegiati due volte all’anno, contiene stupende opere di Giovanni Battista Benaschi, Paolo De Matteis, Giovanni Balducci, Dioniso Lazzari, Andrea Merliano e altri.
Nell’Ottocento sarà il poeta Salvatore Di Giacomo a descrivere la sua visita alla celebre istituzione, famosa per l’ufficio principale dei confratelli: l’assistenza ai condannati a morte. Attività che gli incappucciati svolsero accompagnando al patibolo e raccogliendo le ultime volontà di migliaia di miseri e documentando ogni cosa nei loro registri. Carte preziose, che raccontano pezzi importanti della storia di Napoli Capitale, quale quella dei martiri della Repubblica del 1799. I confratelli si occupavano anche di confortare e assistere materialmente le famiglie dei condannati a morte come pure i malati ricoverati nelle corsie dell’Ospedale Incurabili.
La Compagnia, fondata da Giacomo della Marca, ebbe tra i suoi adepti e correttori San Gaetano da Thiene (fondatore dei Teatini), Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (autore di “Tu scendi dalle stelle”), Francesco Caracciolo (detto il cacciatore di anime) oltre a nobili e importanti mercanti dei seggi di Napoli. Certamente, la compagnia fu punto d’incontro tra i poteri forti del vicereame spagnolo, la Curia, i nobili e i mercanti dei seggi.
Maria Lorenza Longo, fondatrice e governatrice dell’Ospedale Incurabili, si prendeva materialmente cura dei confratelli di cui lavava gli abiti spesso intrisi del sangue dei condannati. Ecco perché la storia dell’Ospedale è strettamente legata alla Cappella. Al di là dell’aspetto caritatevole e sociale della compagnia, il popolo dava molta importanza alla scenografia del supplizio di cui i Bianchi erano essi stessi parte, perché presenti accanto al boia. Spesso le corde usate per l’impiccagione erano raccolte dai confratelli perché non se ne facesse commercio da parte del popolino, uso compravendere macabri reperti umani, strumenti di tortura e del supplizio ritenuti preziosi contro il malocchio.
La chiesetta di Santa Maria Succurre Miseris veniva aperta a pochi fortunati solo due volte l’anno, a Pasqua e all’Assunzione e, talvolta, il 2 novembre, quando aveva luogo la cosiddetta “processione delle ossa”, una sorta di funerale collettivo dedicato a quei giustiziati che non avevano potuto ricevere conforto delle esequie nei mesi precedenti. Il corteo raccoglieva su carri, addobbati con giganteschi ceri, le ossa dei condannati e partendo dalla Chiesa di Santa Maria di Loreto si concludeva nel cortile della Real Casa di Santa Maria del Popolo degli Incurabili.
La segretezza della Congregazione, in linea con altri cenacoli e accademie del periodo barocco, spaventò non poco i governanti e la Chiesa. In particolare, la Compagnia, che ebbe tra i confratelli futuri Papi e Santi, vide serpeggiare l’eresia (fu indagato il Priore Bernardino Ochino). In seguito, re Filippo II, temendo una congiura anti spagnola nel 1583, ne ordinò lo scioglimento. Dopo qualche anno, l’attività fu ripresa (ma a condizione che solo gli ecclesiastici ne potessero far parte) per poi cessare l’attività di assistenza ai condannati definitivamente nel 1862, data dell’ultima esecuzione di cui fu vittima un soldato ventenne, fucilato davanti al forte di Vigliena.
Curiosità conservate nella Cappella dei Bianchi della Giustizia sono i pettorali dipinti ad olio dei confratelli, le molteplici reliquie, il teschio di un soldato spagnolo giustiziato con un vistoso foro nella regione frontale.
Ma una delle attrazioni maggiori è una piccola ceroplastica, denominata “la scandalosa”, modello forse proveniente dalla collezione patologica dell’Ospedale, che mostra una giovane donna di belle fattezze con numerose ulcere a bordi sollevati, vermi, parassiti e animali che ne rodono le carni. È questa l’effige di una malattia, la sifilide, che ne mostra crudemente effetti e riprovazione morale oltre che essere un monito per chiunque avesse intrapreso la strada della vita dissoluta. Certamente la ceroplastica ritrae i segni e l’orrore delle ulcere luetiche e l’erosione della pinna nasale tipiche del mal franzese, considerato un flagello di Dio e malattia principalmente curata nell’Ospedale degli Incurabili. Secondo la tradizione ripresa da Salvatore Di Giacomo, la cruda riproduzione del viso putrefatto della cortigiana veniva mostrata alle peccatrici per redimerle. Non è un caso che, nello stesso cortile, è collocato sullo scalone del pozzo dei pazzi c’era l’antico convento delle pentite (tutte prostitute redente), oggi sede del Museo delle Arti Sanitarie.
Il Museo, insieme ai Chiostri e alla Farmacia Storica e, ora anche alla Cappella dei Bianchi della Giustizia, rappresentano un unicum straordinario di scienza, ricerca alchemica, storia della carità e della beneficenza. Insomma, uno spaccato reale della vita dell’Ospedale tra il ‘500 e il ‘700. Il luogo dell’incontro tra scienza e arte è certamente la Farmacia storica negli Incurabili, che è anche la parte finora più ammirata e meglio conservata dell’antico ospedale del Reame. Insuperato capolavoro del barocco-roccocò, è al tempo stesso efficiente laboratorio del farmaco ed intrigante luogo di rappresentanza per l’élite scientifica dell’Illuminismo napoletano.
di Gennaro Rispoli, Direttore Museo Arti Sanitarie Farmacia degli Incurabili
Complesso Museale Ospedale degli Incurabili
Via Maria Longo 50, Napoli
Cortile Ospedale degli Incurabili
Visite alla Cappella dei Bianchi della Giustizia a cura del Museo delle Arti Sanitarie: due sabati al mese su prenotazione.
Visite al Museo e alla Farmacia: mercoledì, venerdì, sabato e domenica su prenotazione.
Contatti e prenotazioni: tel. 081.44.06.47 email info@ilfarodippocrate.it.
Contributo per la visita della Cappella dei Bianchi della Giustizia: € 8.00
Contributo per la visita completa (Cappella, Museo delle Arti Sanitarie, Farmacia Storica): € 15.00 (tutto il ricavato è destinato al fondo restauri e manutenzione)