Santa Maria La Nova e il mistero della tomba di Dracula

Un mistero non ancora svelato: Vlad l'Impalatore sarebbe sepolto a Napoli nel sepolcro dei Ferrillo nel complesso francescano di Santa Maria La Nova, costruito alla fine del XIII secolo dai frati minori su un appezzamento donato da re Carlo I d'Angiò

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a navata della chiesa di Santa Maria La Nova a Napoli con il suo spettacolare soffitto ligneo (Ph. Daniele Di Lorenzo)
La navata della chiesa di Santa Maria La Nova a Napoli con il suo spettacolare soffitto ligneo (Ph. Daniele Di Lorenzo)
MUSEI DA VISITARE A NAPOLI: COMPLESSO MONUMENTALE DI SANTA MARIA LA NOVA. Secondo una suggestiva e non ancora provata teoria, Vlad l’Impalatore sarebbe morto a Napoli ospite della figlia Maria e tumulato nel sepolcro dei Ferrillo nella cittadella francescana innalzata alla fine del XIII secolo dai frati minori su un appezzamento donato da re Carlo I d’Angiò

Dracula sarebbe morto a Napoli e il suo corpo riposerebbe in uno degli ambienti più suggestivi del Complesso Monumentale di Santa Maria la Nova, la cittadella francescana fatta innalzare, alla fine del XIII secolo, dai frati minori, su un appezzamento di terra donato loro da re Carlo I d’Angiò e definita “la Nova” per distinguerla da Santa Maria ad Palatium, il monastero che un tempo sorgeva nel luogo in cui fu poi innalzato il Maschio Angioino.

La tomba di Vlad l’impalatore, il temuto principe di Valacchia che tanto ispirò la fantasia di Bram Stoker nel celebre romanzo “Il conte Dracula“, si troverebbe nel chiostro piccolo dell’antico convento che troneggia, imponente, a pochi passi da piazza Bovio e da piazza del Gesú, proprio ai bordi del Centro storico dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Il Complesso è un monumento alla fede straordinario, reso ancora più prezioso dalla presenza, al suo interno, di alcuni capolavori firmati dai più celebri pittori della Napoli di fine XVI e inizio XVII secolo. Non a caso è a Santa Maria La Nova, sotto la guida degli esperti di “Oltre il Chiostro Onlus“, l’associazione presieduta dal professor Giuseppe Reale, che è possibile rivisitare la storia dell’ex Capitale del Regno delle Due Sicilie in un percorso dove la cultura diventa un piacevole incontro che va al di là degli steccati ideologici e religiosi, nel pieno rispetto delle reciproche differenze ed in un comune cammino di ricerca della verità.

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La facciata della chiesa di Santa Maria La Nova

Fedele allo stile importato nel Sud Italia dai sovrani angioini, la chiesa e l’annesso convento di Santa Maria La Nova videro la luce in chiare forme gotiche, così come insegnava la scuola degli architetti d’Oltralpe. Danneggiato dai terremoti, il complesso religioso, che già all’inizio del Cinquecento si era visto “dotare” di una nuova struttura – il cappellone di San Giacomo della Marca (la cui costruzione portò all’abbattimento ed alle modifiche di diverse cappelle) – fu sottoposto, a partire dal 1596, ad una profonda e rivoluzionaria opera di restyling che gli conferì quella caratteristica impronta barocca cara ai rigidi canoni della Controriforma che ancora oggi lo contraddistingue.

La chiesa, con la sua facciata austera di stampo rinascimentale, si presenta a croce latina ed è dotata di una sola navata pavimentata in “riggiole” ed una serie di sfavillanti cappelle che si spalancano lungo entrambi i lati. Vi si accede attraverso una ripida scalinata in piperno protetta da una balaustra in marmo. Tra le innumerevoli “perle” di cui è dotato il sacro edificio, non può che lasciare a bocca aperta il soffitto a cassettoni in legno dorato, al cui interno fanno bella mostra di sé quarantasei tavole dipinte: si tratta di una vera e propria antologia dell’arte pittorica ispirata all’ultimo manierismo napoletano prima dell’irruzione di Caravaggio sulle scene artistiche europee.

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Il chiostro piccolo della chiesa di Santa Maria La Nova

L’attiguo convento – nelle cui sale superiori (laddove un tempo si aprivano le celle dei monaci), dal 2008, l’associazione Oltre il Chiostro ha allestito il Museo d’Arte Religiosa Contemporanea (Arca) cui è stato concesso il riconoscimento di interesse regionale – si compone invece di sagrestia, refettorio e due straordinari chiostri. Quello cosiddetto “maggiore”, detto anche chiostro di San Francesco, ceduto da tempo alla Provincia di Napoli, ha perso buona parte degli affreschi (raffiguranti scene della vita del poverello di Assisi), che un tempo ne adornavano le pareti. Il chiostro “minore” o “piccolo”, detto chiostro di San Giacomo, custodisce invece un ciclo di dipinti con scene della vita di San Giacomo della Marca, attribuiti ad Andrea De Lione ed una serie di lapidi e monumenti sepolcrali.

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La tomba della famiglia Ferrillo nel chiostro di Santa Maria La Nova

Ed è qui che ci conduce la leggenda della tomba di Dracula. Qui, dove la storia si è divertita ad intrecciare le sue trame occulte. Secondo uno studio dell’Università di Tallinn, Dracula, infatti, riposerebbe proprio sotto i portici del chiostro piccolo, nel sepolcro realizzato nel 1499 dallo scultore Jacopo della Pila per ospitare le spoglie mortali di Matteo Ferrillo. Ne sono convinti alcuni studiosi italiani, supportati nelle loro tesi, dai colleghi dell’università estone.

Proviamo a capirci qualcosa. E facciamo un salto indietro nel tempo. Correva l’anno del signore 1476 quando Vlad III di Valacchia, da poco tornato sul trono del suo paese, scomparve in battaglia mentre combatteva contro i turchi. Vlad, che apparteneva all’Ordine del Dragone (“Dracula” dal romeno “Dracul”, letteralmente significa “figlio del drago”) proprio come l’allora re di Napoli Ferrante D’Aragona, fu dato per morto e una delle sue figlie, la principessa Maria Balsa, che all’epoca aveva solo 7 anni, fu adottata da una donna napoletana e quindi condotta a Napoli, forse proprio in virtù della comune “militanza” dei due re, per sfuggire al pericolo di un’invasione ottomana della Transilvania. Divenuta donna, la ragazza andò in sposa ad un nobile partenopeo della famiglia Ferrillo, Matteo, appunto. Ora, secondo una prima versione, fu lei a condurre le spoglie mortali dell’illustre genitore nella città del Golfo e poi a disporne l’inumazione nel sepolcro del marito. Secondo un’altra versione, Dracula non morì affatto in battaglia ma cadde prigioniero dei turchi. Sarebbe stata Maria Balsa a pagarne il riscatto e poi a farlo giungere in Italia. Alla sua morte, l’ex re di Valacchia sarebbe stato tumulato nella tomba di famiglia.

Fin qui il racconto. Ma ci sarebbero alcuni elementi che proverebbero tale tesi: i bassorilievi scolpiti sulla lapide sepolcrale del “genero” di Dracula. Vi si notano infatti un drago con due simboli di matrice egizia mai visti prima su una tomba europea e che sembrano richiamare alcuni elementi tipici della cultura medievale di matrice slava. Si tratta di due sfingi contrapposte che richiamano il nome della città di Tebe che gli antichi egiziani chiamavano “Tepes“. In soldoni, in quei simboli sembra di leggere “Dracula Tepes” che, guarda caso, sono anche i due soprannomi normalmente affibbiati al principe.

Ma non è finita qui. Proprio alle spalle della tomba di Ferrillo campeggia un’enigmatica incisione. Una sorta di “Codice La Nova“, come è stato ribattezzato dai soci di Oltre il Chiostro, scritto in un linguaggio non del tutto conosciuto. L’unico elemento certo finora decifrato in questo misterioso affresco (in cui qualcuno avrebbe riconosciuto caratteri tipici degli alfabeti latino, copto, greco ed etiope), sembrerebbe essere la parola “Vlad” che pare ricorra più volte. Vlad, appunto. Come il nome del conte.

Fin qui le sorprendenti coincidenze di una storia che a tratti sembra sfociare nel romanzo. Sì, perché non manca, tra gli storici, chi non crede alla versione napoletana di Dracula, perché, si sostiene, non ci sono prove concrete della permanenza o della sepoltura di Vlad III in Italia o addirittura dell’esistenza di una sua figlia. E il riferimento stesso alla città di Tebe viene considerato fuorviante dal momento che l’epiteto “Tepes” normalmente affiancato al nome di Dracula, in romeno significa “palo” da cui il nostro “impalatore”, derivato dall’agghiacciante tortura che il “Vampiro della Transilvania” era solito infliggere ai suoi nemici. Dubbi, perplessità, misteri che, come si vede, abbondano. Ma anche segni e indizi a volontà.

Insomma, c’è tutto nella storia del Complesso monumentale di Santa Maria La Nova per attirare l’attenzione di storici, appassionati d’arte e turisti, un vero scrigno di storia, di arte e di religiosità, che dà il senso del mistero racchiuso nelle antiche mura di questa fondazione angioina tutta da visitare. Un monumento che ha comunque sempre bisogno di cura e manutenzione, per cui l’associazione partenopea che lo gestisce ha promosso l’iniziativa “Restaura la Nova“, una raccolta di fondi da destinare ai restauri (guarda il video).

COMPLESSO MONUMENTALE SANTA MARIA LA NOVA
MUSEO D’ARTE RELIGIOSA CONTEMPORANEA (ARCA)
Via Santa Maria la Nova, 44 – 80134 Napoli
(nei pressi delle fermate Università e Toledo, Linea 1 della Metropolitanta
ORARI: Lunedì-Venerdi dalle 9,30 alle 15,00 – Sabato e Domenica dalle 9,30 alle 14,00
Contatti: Tel. + 39 081 552 15 97 – Email: info@santamarialanova.info
Sito web: www.santamarialanova.info