Quei piatti tipici campani con il nome di città

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Torta-Caprese

Ci sono piatti che hanno un nome proprio. Ghiottonerie con l’etichetta. Simbolo di radici antiche e tradizioni: gusti, aromi e sapori. E’ in cucina che inventiva e geografia vanno a braccetto. Sposando antiche ricette, storie di borghi e lezioni di vita. Pensi alla Napoletana, e vedi il disco bianco di farina materializzarsi nel piatto, dando vita alla più succulenta delle pietanze. Perché è nei forni di Partenope che la pizza è nata e ha mosso i primi passi. Un tempo piatto dei poveri, oggi simbolo del “made in Naples” nel mondo. La Pizza Napoletana si differenzia dalla più gettonata e recente Margherita per l’assenza della mozzarella tra gli ingredienti. Il disco di candida e succulenta pasta viene, infatti, accompagnato alla cottura unicamente cosparso di pomodoro e origano. E per chi lo desidera, con una spruzzata di aglio nella variante della Marinara.

Da Napoli a Capri, il passo è breve, anche se in mezzo c’è qualche miglio di mare. Alzi la mano chi, in vita sua, non ha mai assaggiato un pezzo di torta caprese. Dolce, tondeggiante, autentica delizia a base di cioccolato e mandorle, priva di farina, si dice che questa autentica “chicca” della gastronomia partenopea sia nata lì, sulle balze dell’isola di Tiberio. Negli anni Venti. Nel laboratorio di un artigiano di nome Carmine di Fiore. Secondo la leggenda, il cuoco avrebbe dimenticato di mettere la farina in una torta di mandorle preparata per tre malavitosi americani giunti sull’isola per conto di Al Capone. L’errore avrebbe potuto costargli caro, invece rappresentò la sua fortuna, poiché la torta riuscì così buona che gli americani pretesero di avere la ricetta e di lì a poco Di Fiore prese a produrla con regolarità, ottenendo subito un grande successo. Questo almeno racconta la leggenda. Perché, a voler dar retta a un’altra storiella, la caprese sarebbe nata dalle mani di un’austriaca, come variante della sacher torte. Che poi sia stata realizzata per la prima volta nella perla del Golfo o sui monti del Tirolo, questo non è dato saperlo.[charme-gallery]

In verità esistono diverse varianti del piatto, tutte altrettante ricche e gustose. Ma il vero spirito del dolce rimane la sua semplicità. E un insieme di prodotti genuini e di facile reperibilità, come mandorle, cioccolato fondente, burro, zucchero, uova, un pizzico di sale e zucchero a velo per guarnire. Con il termine “caprese” si indica anche un altro piatto. Un “piatto fresco”. Più che una vera e propria pietanza, si tratta di un’insalata spesso usata anche come pasto o solo antipasto. Anche in questo caso tradizione vuole che l’ insalata Caprese derivi dall’isola Azzurra. Come la si prepara? E’ presto detto: basta mettere nel piatto un paio di fettine di mozzarella di bufala accompagnate da buon pomodoro e, per chi lo preferisce, un lieve condimento di olio, sale e basilico (a piacere si può aggiungere anche origano) e il gioco è fatto. Provare per credere.

Di città in città, il percorso del buon gusto porta direttamente a Nerano, frazione di Massalubrense. Dove gli spaghetti alla Nerano sono forse più famosi del suo mare. Esiste più di una ricetta per preparare questa autentica ghiottoneria. Ed ognuno è convinto che sia quella buona. C’è infatti chi li prepara aggiungendovi del buon provolone dolce di Sorrento grattugiato, chi il burro. Chi abbondante basilico tritato, ma quella più diffusa vuole che gli spaghetti siano cucinati e assaggiati ben conditi con olio d’oliva, una speciale salsa di zucchine tagliate a fettine e tante scaglie di parmigiano.[charme-gallery]

Altra celebre pietanza col nome cittadino è, senza alcun ombra di dubbio, lo gnocco alla Sorrentina, degno ambasciatore dei sapori della città del Tasso nei ristoranti di mezzo mondo. Semplici da preparare, rappresentano uno spettacolo per gli occhi e per il palato perché uniscono l’effetto delle perle di pasta preparate con impasto di farina di patate, al sugo fresco di pomodoro, alla freschezza della mozzarella e al profumo del basilico. Ingredienti che rendono questo piatto unico e altamente nutriente.

Il nome di una città accompagna anche uno dei piatti tipici più famosi della tradizione partenopea: la pasta alla Genovese. Strano, ma vero, che una ricetta tipica della città di Virgilio contenga, nel nome, un rimando al capoluogo della Liguria. Eppure, contro tutte le apparenze, la genovese è partenopea fino al midollo. E Genova non c’entra nulla con questo piatto forgiato dalle mani sapienti dei maestri della cucina partenopea. Certo, ci sono le leggende. E i racconti della storia popolare da tenere sott’occhio. Secondo alcuni, questo particolare piatto sarebbe nato in epoca aragonese, quando il porto di Napoli pullulava di bettole e taverne tenute da cuochi genovesi. Tra i piatti che venivano serviti in quei locali vi sarebbe stato anche un sugo a base di cipolla e di un pezzo di carne intero detto “o tucc”, chiamato “genovese” per la città d’origine, appunto, dei cuochi che lo avevano confezionato. Una seconda ipotesi attribuisce la creazione della “genovese” all’inventiva di un cuoco partenopeo, nato e cresciuto nella città del Golfo, ma soprannominato “o genovese”, da cui appunto il nome del piatto. Non manca, infine, chi vuole far derivare questo piatto dalla svizzera Ginevra, facendo quindi derivare il termine “genovese” dal francese “Geneve”. Quali che siano le origini di questo singolare piatto, quel che è certo è che a Napoli, la “genovese” si prepara mescolando un intenso e saporito sugo ottenuto dalla cottura a fuoco lento di carne bovina e cipolle ramata, con rigatoni, paccheri oppure fusilli. Il frutto finale è una squisitezza dal sapore intenso e dalla flagranza inimitabile. Roba da leccarsi le dita.[charme-gallery]

Da non perdere, infine, sono anche le alici di Cetara, piccolo comune vicino alla famosa Vietri sul Mare, in cui si prepara una succulenta salsa prodotta dalla colatura delle alici. Si tratta di un tradizionale procedimento di maturazione del pesce azzurro, immerso in una soluzione satura di acqua e sale, che, una volta trasformato in condimento, rende semplicemente fantastici gli spaghetti.

Infine, chiudiamo con due prodotti d’elite della Terra Felix che nel nome stesso richiamano la località che li ha prodotti. Si tratta della Castagna di Montella, in Irpinia, e del Fagiolo Cilentano di Controne. Nel caso della castagna, il frutto prelibato di Montella, insignito del marchio Igp, è molto utilizzato nell’industria dolciaria ed è così ricercato che, è proprio il caso di dirlo, a due passi dai castagneti avellinesi ha messo radici un attrezzato stabilimento della Ferrero.

A Controne, invece, nel cuore del Cilento, cresce una rara forma di fagiolo piccolo, rotondo e bianchissimo, senza macchie e senza occhi, particolarmente pregiato per l’alta digeribilità e per la buccia sottile, praticamente impalpabile. Difficilmente si spacca durante la cottura, che solitamente richiede tempi nettamente inferiori rispetto a quelli di un fagiolo comune. Il fagiolo di Controne, che si fregia del marchio Doc (ed ha richiesto anche quello del marchio Igp) rientra tra le produzioni tipiche che Slow Food ha voluto nell’elenco delle specialità italiane da salvare. Ed è utilizzato in cucina per la preparazione di svariate pietanze, che vanno dalla classica pasta e fagioli cilentana al soffritto con pomodori, aglio e peperoncino piccante, un’altra delle ricette tipiche della terra di Arechi.