Nobu e Tetsuya Wakuda sono i più acclamati chef del mondo. Eppure, almeno una volta nella vita si tolsero dalla testa il classico toque blanche di fronte a un cibo che loro, maestri geniali del sushi, non avrebbero mai imparato a cucinare così bene: un piatto di pasta di Gragnano condito con un semplice filo d’olio. Un connubio di profumi e sapori che definirono “paradisiaco” e che fece aumentare l’esportazione verso un Paese votato per tradizione al “riso”. Ma cosa ha di tanto speciale la pasta di Gragnano per essere considerata universalmente “la” pasta? Per alcuni, buona parte del suo successo è legato alla consistenza. La produzione dell’“oro bianco” a Gragnano si sviluppò enormemente nel diciassettesimo secolo, perché il paese era favorito da particolari condizioni climatiche che portavano a un essiccamento estremamente particolare della produzione di paccheri e linguine.[charme-gallery] Nella cittadina che fa esordire la Penisola Sorrentina, arroccata ai piedi dei Lattari si respira ancora la salubrità di Castellammare, una leggera aria umida proveniente dal mare, mescolata ai profumi del Vesuvio, ma anche arricchita dai minerali della brezza marina: è questo il mix perfetto per permettere la lenta essiccazione dei “maccaroni”, fino a renderli una prelibata leccornia. Un miracolo della natura, che, con un semplice impasto di farina di grano duro e acqua, riesce a forgiare gustosi piaceri per il palato[charme-gallery].
Oggi, a Gragnano, le fabbriche rimaste dopo la crisi degli anni Ottanta sorgono sempre lì, intorno alla Via dei Pastai. Tutte di altissimo livello qualitativo, tutte attrezzate con macchinari all’avanguardia, ma con regole secolari da cui non ci si può esimere.
Uno dei pregi fondamentali della pasta di Gragnano è che non scuoce. Ma i mastri pastai non rinunciano a suggerire di fare sempre molta attenzione nel processo di cottura, perché la pasta va amata e coccolata fin nel momento in cui il pacco viene aperto. Versarla con delicatezza in abbondante acqua (dieci litri per ogni chilo di pasta) salata nel momento in cui è in ebollizione, cuocerla in pentole di rame o alluminio, girarla ripetutamente con la cucchiarella di legno. Poi, che siano penne, fusilli, paccheri o spaghetti poco importa. Quello che conta è che la pasta sia di Gragnano.