Pasqua, a tavola festa con resurrezione del palato (parte seconda)

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tagliere salumi

(segue da prima parte)… E di storia ne ha da vendere anche il “casatiello”, dal termine dialettale “caso” che in napoletano significa “cacio”, formaggio, in riferimento alla ricca presenza di pecorino nell’impasto. Stiamo parlando, con il tortano (una variante del casatiello), forse di un altro dei piatti più venerati ed osannati in assoluto della Pasqua all’ombra del Vesuvio, al pari della rinomata “pastiera”. Questa tipica torta rustica made in Partenope – straordinariamente buona anche la sua variante dolce – si è meritata, proprio con la pastiera, addirittura una menzione nella favola “La gatta Cenerentola” di Giambattista Basile (1566–1632), il racconto poi utilizzato dai fratelli Grimm per reinventare la fiaba di Cenerentola. Ebbene, Basile nel suo racconto descrive, in dialetto, i festeggiamenti che furono organizzati a corte per trovare la fanciulla che aveva perso la scarpetta, dicendo, testualmente: “…che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle?”. Una frase che testimonia, dunque, come già nel corso del XVII secolo, il “casatiello” fosse particolarmente diffuso nei gusti culinari dei napoletani. Secondo la tradizione, questo piatto simboleggerebbe la corona di spine del Crocifisso. Ed ancora oggi non c’è Pasqua napoletana o lunedì in Albis che tenga, senza una fetta di questa sana e robusta pietanza. [charme-gallery] Proprio come la già citata “pastiera”, dolce simbolo, per eccellenza, della tradizione pasquale partenopea. A voler dar retta a una antica leggenda, la pastiera sarebbe nata da una sorta di ex voto fatto da alcune mogli di pescatori le quali lasciarono, nella notte, a pochi passi dalla battigia, delle ceste ricolme di ricotta, frutta candita, grano, uova e fiori d’arancio come offerte per il “mare”, affinché questo lasciasse tornare i loro mariti sani e salvi all’asciutto. Al mattino, una volta tornate in spiaggia, le donne notarono che durante la notte, le onde avevano mischiato gli ingredienti e insieme agli uomini di ritorno, nelle ceste, c’era una vera torta: ecco, dunque, nata la pastiera. [charme-gallery] Al di là della leggenda (c’è anche una versione che vuole nella sirena Partenope l’autrice di un tale “rimescolamento” di ingredienti) è probabile che questo dolce fosse già noto ai tempi degli antichi pagani quando lo si preparava in onore della dea Cerere per celebrare il ritorno della Primavera, così come è probabile una sua rivisitazione in chiave “moderna”, nel corso del Cinquecento, in un convento di monache a San Gregorio Armeno. Oggi la pastiera, al pari delle altre prelibatezze pasquali, è un dolce altamente simbolico. La ricotta, infatti, rappresenta la trasfigurazione delle offerte votive a base di latte e miele, tipiche delle prime cerimonie cristiane. E il grano, viene inteso come augurio di ricchezza e fecondità mentre le uova sono, come detto, simbolo di vita e resurrezione. (segue terza parte)